«Vi saluto da qui, dove l’Imperatore Traiano realizzò la Colonna. Non voglio più imperi. Voglio che viviamo in un’Europa di nazioni sovrane. In questi mesi, la Romania si è risvegliata».
Difficile immaginare un palcoscenico più carico di storia e simboli: la Colonna di Traiano sullo sfondo, e George Simion che si rivolge ai suoi concittadini in un video che ha il tono di una dichiarazione storica. Non è solo retorica identitaria. È un messaggio preciso alla Romania, all’Italia e all’Europa: il tempo del risveglio è ora. E Roma, più che semplice tappa del tour politico, diventa il crocevia culturale e geopolitico dove si incrociano memoria imperiale e visione patriottica del futuro.
Il leader del partito AUR, dato per favorito al ballottaggio presidenziale del 18 maggio, ha incontrato Giorgia Meloni nella sede di Fratelli d’Italia in via della Scrofa. A ospitare l’incontro anche i vertici del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR), di cui Simion fa parte insieme a Meloni, Morawiecki e Marion Maréchal. Un vertice di peso, volutamente tenuto lontano dai palazzi istituzionali, ma non per questo meno carico di implicazioni strategiche. Anzi.
Meloni, oggi premier e figura chiave del fronte conservatore continentale, ha ribadito — anche se in tono discreto — la rilevanza del voto romeno come snodo della partita europea. Se Simion vincesse, infatti, l’ECR conquisterebbe un secondo seggio nel Consiglio Europeo: un risultato che sposterebbe gli equilibri non solo tra le famiglie politiche, ma tra le visioni stesse dell’Europa. Non più l’Europa delle quote e dei commissari, ma quella delle radici, delle comunità e delle identità nazionali.
Una sfida continentale
Il significato del voto romeno trascende i confini nazionali. In gioco non c’è solo la successione a Klaus Iohannis, ma il segnale che Bucarest può lanciare verso Bruxelles. L’onda conservatrice, patriottica, anti-centralista, che da Budapest a Varsavia, da Roma a Madrid, chiede un’Europa meno tecnocratica e più vicina ai popoli, potrebbe trovare in Simion un nuovo baricentro nell’Est. E questo spiega perché le cancellerie occidentali seguano con inquietudine questa campagna elettorale.
L’appoggio italiano, in particolare, è stato esplicito. Meloni, pur mantenendo un profilo istituzionale, ha fatto sentire il proprio endorsement nella forma più efficace: ricevendo Simion nel suo partito, e lasciando che a parlare fosse la foto di gruppo con Morawiecki e Maréchal. È la stessa strategia che Meloni usa per consolidare la rete del fronte conservatore: meno proclami, più alleanze operative. L’obiettivo è chiaro: rafforzare un blocco alternativo al PPE, tale da costringerlo a scegliere tra la continuità con i socialisti o una nuova maggioranza patriottica.
Il fattore diaspora
C’è un altro elemento chiave nella visita romana di Simion: il voto estero. La Romania è tra i paesi europei con la più alta percentuale di cittadini emigrati, e l’Italia ospita la comunità romena più numerosa dell’UE: oltre un milione di persone, molti dei quali elettori attivi. Parlare a loro da Roma, con accanto Meloni e i vertici di ECR, significa lanciare un messaggio non solo identitario, ma strategicamente mirato: la Romania può contare sull’Italia. E viceversa.
Lo stesso Simion ha detto chiaramente: “Abbiamo costruito insieme, a livello europeo, un movimento patriottico e conservatore che conquisterà il potere anche nelle istituzioni europee”. Il linguaggio è netto, a tratti bellico, ma aderente a una grammatica politica che non fa più sconti. Non ci sono più solo partiti, ma fronti. Non più solo elezioni, ma sfide storiche.
La dimensione culturale
Colpisce anche il recupero esplicito del legame culturale con Roma. Simion parla della Colonna di Traiano non come un monumento archeologico, ma come memoria fondativa della romanità. Nella narrazione nazional-romena, la conquista della Dacia e la colonizzazione romana sono il cuore stesso dell’identità nazionale: “Discendiamo da Roma” non è solo uno slogan, ma un atto di appartenenza. Ed è qui che il patriottismo si intreccia con la geopolitica: evocare Roma è rivendicare un’Europa latina e cristiana, contrapposta alla tecnocrazia senz’anima delle istituzioni europee attuali.
18 maggio 2025: un voto, molte direzioni
Il voto del 18 maggio in Romania non sarà soltanto un referendum tra due candidati. Sarà un termometro della direzione che può prendere l’Europa. Da un lato, un modello tecnocratico e progressista che ha perso presa nei ceti popolari. Dall’altro, una rete di leader patriottici che vogliono ridare centralità agli Stati, alle culture, ai popoli. Il fatto che questo confronto si giochi a partire da Roma — non più centro imperiale, ma cuore pulsante di una nuova alleanza conservatrice — è un segno dei tempi.
E se George Simion dovesse davvero vincere, la Colonna di Traiano avrà assistito, duemila anni dopo, non a una nuova conquista, ma a un ritorno.
Noi saremo ancora una volta a Bucarest per seguire la storia e raccontarvela.
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