Il celebre detto – con una venatura stoica tutta local – recita “Roma ha già visto tutto”. E tra due anni (ma sono in molti ad augurarsi che ciò possa avvenire decisamente prima) la Città eterna avrà visto e superato pure l’esperienza amministrativa più surreale e politicamente sconfortante della sua vicenda recente. Tre anni di Virginia Raggi – che tutt’ora resta il punto più alto del governo territoriale del M5s, il che è tutto dire – rappresentano una parabola storica più che sufficiente per un saldo negativo che i romani hanno imparato a conoscere bene perché ne pagano quotidianamente le conseguenze sulla propria pelle.
Trasporti, rifiuti, abusivismo. Roma è al collasso
Il quadro è risaputo: trasporti al collasso (fermate della Metro chiuse per cattive manutenzioni autorizzate dall’amministrazione, autobus all’interno dei quali in queste ore si raggiungono i 38° gradi, intere periferie semi-irragiungibili), rifiuti su rifiuti (con il corollario del flop del piano sulla differenziata), desertificazione del centro storico, esplosione dall’altro lato del commercio abusivo, burocrazia lenta che rende ostaggi i cittadini, assoluta mancanza di progettazione culturale, sociale ed economica (la fuga delle aziende, grandi e medie, dalla Capitale è una piaga di immagine e un’onta nei confronti dei competitor internazionali). Il risultato è un senso di abbandono traversale alla società romana, a cui si aggiunge il rifiuto sfacciato e presuntuoso da parte del sindaco & co – malcelato con la ridicola scappatoia dell’“onestà” – di qualsiasi sfida possa connettersi minimanente con la vocazione alla grandezza proprio della storia della Capitale, del suo genius loci e del suo standing.
Tre anni di nulla a 5 stelle
Si è trattato forse di puro immobilismo e mediocre istinto di autoconservazione? Paura di sbagliare o di compromettersi? Esattamente il contrario: tre anni, targati 5 Stelle, sono stati conditi da inchieste frutto del coivolgimento di faccendieri e del cotè degli interessi, arresti nel “Raggio magico” e dintorni (il capogruppo a palazzo Senatorio Marcello De Vito), “strage” di assessori (ben sedici cambi in giunta), a testimoniare una disorganicità consustanziale nel messaggio politico dei pentastellati. Tutto ciò è stato snocciolato efficacemente anche da un’inchiesta de Il Messaggero che nei giorni scorsi ha parlato apertis verbis dell’«incapacità» di Virginia Raggi la quale – secondo la vulgata mainstream – avrebbe dovuto riportare Roma sulla terra dopo l’esperienza del “marziano” Ignazio Marino e la drammatizzazione parossistica ed autolesionista di Mafia Capitale.
La Raggi, come la sinistra, si rifugia nell’ “antifascismo”
E invece, come se non bastasse, la Raggi si è impegnata nel separare ancora di più i romani con la propria storia e i cittadini da quelle istituzioni che i grillini – sulla carta – avrebbero dovuto esaltare. Tra le “imprese” grottesche di Raggi infatti dobbiamo annoverare, a seguito della corvée all’ossessione antifascista di una sinistra in fase terminale, l’opposizione all’intitolazione di una via di Roma a Giorgio Almirante (nonostante il voto favorevole alla mozione del Consiglio comunale presentata da FdI e sostenuta pure dai 5 Stelle…) e – in una logica opposta e contraria – la proposta di rimozione dalla toponomastica di tutti i riferimenti a personaggi illustri legati o espressione del ventennio fascista. Col risultato – seguendo il ragionamento – di dover rimuovere le intestazioni di strade, piazze e viali ai vari Pirandello, Ungaretti, D’Annunzio…
Il disprezzo per i romani delle periferie e i privilegi per i rom
Se questo è grave ancora più grave è l’atteggiamento tenuto nei confronti dei romani dinanzi all’emergenza abitativa nelle periferie e a Casal Bruciato in particolare, lì dove – in barba al buonsenso e al realismo – la “sindaca” ha rivendicato, in nome di un assurdo regolamento ereditato, il diritto dei rom a scavalcare nelle graduatorie le famiglie autoctone.
La realtà, insomma, è che trentasei mesi dopo il plebiscito grillino – frutto anche del tafazzismo di un parte del centrodestra che, disorientata ancora ai tempi dalla sbornia “nazareniana”, ha scelto ai tempi di ostacolare la discesa in campo di Giorgia Meloni –, Roma si ritrova senza “decisore”, senza una bussola al Campidoglio, e con l’offesa di essere considerata nella vulgata una «sfida impossibile», una sorta di tomba per le velleità di una coalizione politica o di una leadership.
La destra politica deve individuare un percorso: a Roma si fa o si disfa l’Italia
Tre anni di vuoto, dunque, che se da un lato rappresentano la leva politica su cui far emergere tutti i limiti dei pentastellati dall’altro rappresentano un “debito di rappresentanza” che la destra politica – naturale interprete di questa stagione, a maggior ragione su Roma – è chiamata a non disattendere, individuando già adesso un percorso e le caratteristiche della proposta. Perché – come insegna suo malgrado la triste esperienza grillina – è a Roma che si fa o si disfa l’Italia.