L’assassinio di Charlie Kirk è stato immediatamente trasformato dalla sinistra in un processo alle armi. Puntuale, come sempre, la narrazione tossica dei media mainstream si è riversata a reti unificate: non è stata la campagna di odio a uccidere Charlie, ma la pistola che l’attentatore ha impugnato. Il copione è noto: spostare l’attenzione dal vero colpevole – la demonizzazione costante e ossessiva della sinistra contro chi non si allinea al pensiero unico – per concentrare tutto sulla “colpa” dello strumento. Ma la verità è semplice: non è l’arma a uccidere, è l’uomo che sceglie di farlo.
Quando una donna viene ammazzata a coltellate i sinistri non danno la colpa al coltello, ma al patriarcato. Ovviamente, però, solo se l’assassino è bianco, cristiano ed eterosessuale.
Se, invece, un delinquente muore per overdose dopo essere stato fermato col taser da un Carabiniere, la colpa – sempre per la sinistra – non è della droga, ma del taser e del Carabiniere. Oppure, se Ilaria Salis gira per l’Europa a sprangare sul cranio chi non la pensa come lei? Per la sinistra la colpa non è di Ilaria Salis, ma di chi ha “idee sbagliate”.
Questa doppia morale è la stessa che oggi viene applicata all’assassinio di Charlie Kirk: la colpa non sarebbe della campagna d’odio con cui sinistra e media mainstream lo hanno infangato ogni giorno, ma dell’arma che ha sparato.
Eppure, è sotto gli occhi di tutti che a spingere Tyler Robinson a sparare non sia stata la pistola, ma la radicalizzazione indotta da anni di demonizzazione sistematica: un martellamento ossessivo che ha etichettato Donald Trump come un dittatore, Giorgia Meloni come una fascista, Elon Musk come un pericoloso sovversivo, Marine Le Pen come una criminale, l’AfD come un partito nazista.
Una campagna d’odio senza sosta, che trasforma gli avversari politici in nemici da abbattere, e chiunque osi dissentire in un bersaglio da colpire. È questo clima, non l’arma, ad aver radicalizzato l’attentatore e spinto il suo dito sul grilletto. Non a caso, poco più di un anno fa a Butler, lo stesso copione aveva portato un altro sinistroide a sparare contro Donald Trump. In quel caso il presidente si salvò per miracolo. Charlie no.
Un fucile, una pistola, un coltello, una chiave inglese o un taser non si muovono da soli. Non odiano, non scelgono, non colpiscono. Gli strumenti rimangono strumenti: inerti, incapaci di agire. A uccidere è sempre l’uomo. E il ragazzo che ha assassinato Charlie Kirk era stato avvelenato da anni di propaganda ideologica che predica la violenza come mezzo legittimo contro chi non si omologa.
Dire che l’assassinio di Kirk è colpa delle armi è come dire che la morte di Sergio Ramelli fu colpa delle chiavi inglesi, che l’omicidio di Iryna Zarutska è colpa dei coltelli, che l’overdose di un criminale fermato da un Carabiniere è colpa del taser, l’11 settembre colpa degli aerei, oppure che l’obesità è colpa dei cucchiai.
E c’è un’ulteriore aggravante: Charlie Kirk difendeva apertamente il Secondo Emendamento, e per questo nelle menti dei “democratici” il collegamento è stato automatico. Non la campagna d’odio, non la radicalizzazione, non gli slogan che hanno armato la mano dell’attentatore: per loro la colpa è delle armi. Una scorciatoia comoda, l’ennesima autoassoluzione che consente al sistema mediatico di continuare a riversare odio, senza doversi assumere la minima responsabilità per l’ennesima tragedia.