È difficile trattare con Putin. Anche per Trump

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è sentito in più occasioni abbastanza sicuro di riuscire ad aprire un serio negoziato con Vladimir Putin per il raggiungimento di una pace giusta e duratura in Ucraina. La sua non è stata la pia illusione di un ingenuo o la sicumera di un arrogante e nemmeno l’ipotizzata doppiezza di un presidente più volte descritto dai media, quelli liberal in particolare, come un “infiltrato” del Cremlino presso la Casa Bianca, già d’accordo con lo Zar di Mosca per abborracciare una presunta pace tutta a favore della Russia.

Trump, semplicemente, ricordava di non avere avuto, durante il primo mandato presidenziale, problemi gravi e insormontabili con Putin e contava di poter parlare in modo costruttivo con l’uomo forte della Federazione russa, il quale certo, non è mai stato e non è un amico affettuoso dell’Occidente, e neppure un campione di libertà e democrazia, ma ha dato prova di pragmatismo e ha lasciato perdere avventurismi in determinati momenti della sua lunga leadership. Peraltro, la guerra in Ucraina è iniziata durante la presidenza USA di Joe Biden e, appunto, le tensioni più impegnative sviluppatesi fra Washington e Mosca hanno avuto luogo quando Donald Trump si trovava ben lontano dal timone dell’America.

Però, il Putin dell’aggressione militare in Ucraina, iniziata nel 2022, è diverso dal Putin antecedente la guerra. Era ed è rimasto un autocrate dai metodi spicci, e ricordiamo le numerose vittime del regime putiniano, eliminate fisicamente perché osavano opporsi al presidente-dittatore, (Aleksandr Litvinenko, la giornalista Anna Politkovskaja, Aleksej Navalny e tanti altri), ma in alcune fasi il leader russo è riuscito a trovare intese con l’Occidente sino a concludere la storica stretta di mano con gli Stati Uniti a Pratica di Mare nel 2002, organizzata dall’Italia di Silvio Berlusconi, e a non escludere addirittura l’ingresso della Russia nella NATO. Vent’anni esatti dopo, Vladimir Putin decide di invadere militarmente l’Ucraina ed oggi, con la guerra ancora a pieno regime, il numero uno del Cremlino è diventato una figura politica con la quale è difficile, se non impossibile, parlare. Ne ha dovuto prendere atto anche il pragmatico Donald Trump.

Già i primi contatti avuti dal presidente USA, subito dopo il suo secondo insediamento alla Casa Bianca, con Putin sono andati, diciamola così, più o meno bene, più meno che più, ma è stata l’ultima telefonata con il Cremlino, avvenuta solo pochi giorni fa, a far ricredere completamente o quasi il tycoon in merito alla buona volontà, inesistente, del suo omologo russo. Putin ha affermato in modo perentorio e inappellabile che la Russia non arretrerà mai e che combatterà sino al raggiungimento degli obiettivi, e a Trump non è rimasto che prendere atto dell’intenzione di Mosca di andare fino in fondo. Gli obiettivi russi sono diventati un poco nebulosi perché se il traguardo vitale da agguantare è ancora quello dell’invasione totale dell’Ucraina, la cacciata dei “nazisti” da Kiev propagandata agli inizi del conflitto, beh, Putin e i suoi gerarchi dovrebbero ricordare che la conquista integrale del territorio ucraino è già andata male una volta ed è arduo adesso, con una Russia che inizia ad accusare stanchezza, soprattutto economica, dopo più di tre anni di guerra, fare un secondo tentativo.

Se il Cremlino vuole invece cementare la propria occupazione in Crimea e nel Donbass, non si capisce perché Vladimir Putin si ostini a fare la voce grossa con gli USA e il mondo. Di fatto, la Russia è già ben insediata sia nella penisola crimeana che nell’Ucraina orientale e russofona, e persino il leader di Kiev Volodymyr Zelensky ha lasciato intendere in alcune circostanze di essere anche pronto a delle cessioni territoriali in cambio della sicurezza del resto del Paese. I predecessori democratici di Trump potevano essere percepiti da Mosca come inguaribili russofobi, ma l’attuale presidente degli Stati Uniti, pur non essendo certo una marionetta al servizio di Putin, come hanno raccontato i media liberal pro-Biden e pro-Kamala, non si è mai espresso con toni dispregiativi nei confronti della Federazione russa.

Prima dell’ultima telefonata Trump-Putin, era circolata la notizia dell’inizio fattuale di un disimpegno americano verso Kiev ed è possibile che sia stato lanciato apposta un certo messaggio a livello globale per lasciare la palla in mano a Putin, il quale però ha dimostrato ancora una volta di voler giocare male. Al presidente russo non interessa, a quanto pare, il realismo di Trump e Zelensky e vuole andare fino in fondo. Dove di preciso non si sa, ma è sicuro che al momento l’idea di correre verso la pace non sfiori minimamente Vladimir Putin. Un vero peccato perché vi sarebbero le condizioni, ora, per sottoscrivere una pace giusta e duratura in Ucraina, tuttavia, se il Cremlino continua a pretendere sia l’uovo che la gallina, cioè, mantenere l’occupazione militare in Crimea e Donbass senza concedere al resto dell’Ucraina il diritto di organizzare la propria sicurezza con l’aiuto dell’Occidente, non si può giungere a nulla di buono.

Vista l’ultima conversazione telefonica con Donald Trump, Putin dimostra di volere proprio tutto e questo non può andare bene nemmeno per la realpolitik americana e il presidente degli Stati Uniti, che ha sempre posto l’accento sulla necessità di concessioni da ambo le parti, non può fare altro che continuare ad aiutare Kiev a livello militare. E l’Ucraina, dal canto suo, è obbligata a proseguire nella difesa delle proprie città e nell’attacco, come è successo contro una base russa dalla quale partono i caccia destinati a seminare morte e distruzione presso la capitale e gli altri centri cittadini della Repubblica ex sovietica.

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Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

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