Ebrei fuori dal Gay Pride: la comunità Lgbt che discrimina e divide

È giugno, il mese dell’“orgoglio omosessuale”. Il momento perfetto per chi non ha problemi a sfruttare il vento che tira a favore della comunità Lgbt, per scendere in piazza, dipingersi il volto di arcobaleno e richiedere a gran voce maggiori diritti per gli omosessuali. Il momento perfetto per cavalcare quell’onda tutta colorata, tingere i loghi delle proprie aziende dei colori “pride” (guai a farlo in Medio Oriente), salire sui palchi delle manifestazioni (che in teoria, solo in teoria, dovrebbero essere apolitiche) per urlare contro la destra. Una destra che ora è al governo e, diversamente da quanto paventato dagli altri, non ha violato nessun diritto, né sull’aborto né sulla libertà sessuale. Ma i lamenti ovviamente continuano, imperterriti, mossi da preconcetti che non si fermeranno.

Il controsenso: il Pride che discrimina

I Gay Pride, d’altronde, ci hanno abituato molto spesso a delle contraddizioni interne non di poco conto. Come lo scontro fra trans e femministe: l’appiattimento dei due generi su una base ugualitaria porta a indebolimento di quel sesso che per natura è fisicamente più debole. E si vede già nello sport, in quei campionati che già ammettono che trans maschi gareggino nelle categorie femminili perché quel giorno si sentono donne, stravincendo giocoforza sulle avversarie. Ma potrebbe avere ripercussioni anche su quelle tutele fondamentali per le donne, come le misure contro il femminicidio, che dunque non avrebbero più motivo di esistere. Un cortocircuito simile si è avuto in questi giorni, quando ai gay ebrei è stato vietato di partecipare alle sfilate, per via di un odio antisemita che circola in quegli ambienti. Ormai la bandiera arcobaleno fiancheggia definitivamente quella palestinese: i gay si schierano con i civili di Gaza, ma è raro sentire qualche parola su Hamas. E la prova di una crescente radicalizzazione si vede anche nel Pride, che in realtà è nato per lotta contro le discriminazioni di genere. A quanto pare, però, esistono discriminazioni di serie B: “Abbiamo tentato di tutto per capire anche con gli organizzatori se si potesse partecipare in sicurezza, ma alla fine abbiamo dovuto arrenderci e non ci saremo”, fa sapere Roberto Sabbadini, tra i fondatori di Keshet Italia, l’organizzazione ebraica queer.

Solite cantilene

Oltre a questo episodio, molti altri sono stati i segnali (non che ce ne fosse bisogno) riguardo al fatto che il Pride non è una manifestazione libera, ma fortemente politica. Di sinistra. Gli inni sono contro il Papa e provengono direttamente dal carro di +Europa, che ha lanciato lo slogan: “Libera frociaggine in libero Stato”. Gli inni ovviamente sono anche contro Giorgia Meloni e contro il suo governo. Sfilano esponenti politici di sinistra, da Riccardo Magi ad Alessandro Zan, fino ad arrivare a Elly Schlein, che ha lamentato il fatto che durante il G7 appena concluso “sono spartire alcune parole: aborto, identità di genere, orientamento sessuale”. In quel G7 c’erano anche esponenti della sinistra mondiale, quali Biden, Scholz, Macron. Elly vuole dire che tutte queste personalità sono omofobe? O piuttosto è il modo più semplice per ingraziarsi la platea accorsa dicendo ciò che questa vorrebbe sentirsi dire? In questa tentazione ci casca anche Zan: “La destra di Giorgia Meloni si sta dimostrando sempre più eversiva. È un dato ormai allarmante che la destra stia perseguitando la comunità Lgbt”. Forse, prima o poi, Zan saprà argomentare questa frase/cantilena e saprà addurre delle prove alla sua tesi. Ma il controsenso è sotto gli occhi di tutti: protestano in Italia contro la mancanza di libertà, ma sventolano la bandiera di un Paese che non riconosce la libertà agli omosessuali. È solo l’ennesimo, ultimo, cortocircuito a sinistra.

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La Redazione de La Voce del Patriota

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