Affidabilità e capacità di incidere: doppio risultato di FDI su Roma e COPASIR.

Un uno-due nel giro di poche ore che ha registrato un vincitore politico ma non per questo una vittoria “di parte”. Parliamo, ovviamente, dell’indicazione di un esponente di Fratelli d’Italia, il senatore Adolfo Urso, alla presidenza del Copasir e di quella del professor Enrico Michetti come candidato sindaco di Roma a nome di tutto il centrodestra.

Due risultati che la cronaca politica attribuisce, come è giusto che sia, a Giorgia Meloni e a FdI ma che rappresentano – come ha fatto intendere la stessa madrina dei conservatori europei – due frecce a disposizione delle «garanzie costituzionali», la prima, e dell’interesse di tutti i cittadini della Capitale (e quindi anche della comunità nazionale), la seconda.

Per ottenere tutto ciò è stato necessario del tempo: in parte più di quello che era necessario. E certo fa riflettere che la causa di questo dispendio di energie e di polemiche sia da ricercare nelle resistenze degli stessi alleati: la Lega, ad esempio, è stata eccessivamente “gelosa” dell’importante ruolo svolto dalla presidenza del Copasir (gestita durante il Conte II da Raffaele Volpi) tanto da resistere ad oltranza – una volta passata in maggioranza a sostegno di Mario Draghi – e in maniera decisamente scomposta alla legge che detta il passaggio del Comitato bicamerale all’opposizione.

L’incredibile stallo sul Copasir ha portato con sé anche lo spostamento reiterato del tavolo di coalizione necessario per trovare i profili giusti per le sfide delle principali cinque città al voto: Roma e Milano su tutte. Un ritardo in parte utilizzato da Meloni, Salvini e Tajani per testare il grado di litigiosità e di incompatibilità del centrosinistra: grillini e dem, infatti, non andranno uniti praticamente da nessuna parte (eccezion fatta per Napoli). Altro che «fronte democratico».

Ma non è un caso che la soluzione trovata per il Copasir – l’unica possibile, come ha sempre rivendicato FdI – abbia facilitato lo svolgimento dell’altro dossier, anche qui nell’unico senso auspicato: quello di una candidatura civica, non legata ad alcun partito, pronta ad interpretare la sfida per Roma sul fronte della competenza e della pragmaticità dopo la disastrosa e grottesca parentesi grillina.

Un profilo fortemente ricercato da Giorgia Meloni – alla fine trovato nel «mr. Wolf» dei sindaci Michetti – che ha preferito non utilizzare il radicamento elettorale di FdI a Roma per monetizzare e accentrare consenso ma ha insistito nell’ascolto delle istanze dei cittadini e nel confronto serrato con chi conosce la macchina amministrativa per offrire una proposta concreta alla “domanda” di rappresentanza che proviene da tutti i settori della Città eterna.

Alla fine il risultato è un duplex, un ticket con il giudice Simonetta Matone: altra espressione civica di assoluto valore, con una grande esperienza nella difesa dei più deboli, donne e bambini su tutti.

Una giornata che si conclude, dunque, con altre due dimostrazioni di “garanzia” offerte da un’opposizione che dimostra – come ricoscono i maggiori analisti ai quali non è sfuggita, fra le altre cose, la qualità dell’interlocuzione intercorsa fra Giorgia Meloni e Mario Draghi – un’affidabilità e una capacità di incidere che fa invidia e gola a tanti partiti di governo.

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