L’Italia che sta governando è prima per crescita – davanti a Francia e Germania – fra le tre storiche “locomotive” d’Europa. È stimolata da un mercato del lavoro interno che fa registrare un tasso d’occupazione (e di contratti stabili) in costante crescita. È caratterizzata poi da un nuovo approccio sulle tasse laburista e produttivista: orientato a tagliare massicciamente il cuneo fiscale per i lavoratori a basso reddito e a premiare, con la prima iniezione di tassa piatta, gli straordinari e le tredicesime in busta paga. Un’Italia pronta, dall’altra parte, a stipulare con il grande “motore” del lavoro autonomo un patto per la crescita, alla base del quale non può che esserci un rapporto con il fisco “preventivo” e conciliante e non più prevenuto e vessatore. Tutto ciò con la riforma delle politiche attive e il superamento del reddito di cittadinanza ai blocchi di partenza ma che può già vantare un risultato: il forte abbassamento delle richieste di sussidio. Segno che lo “scatto”, nei confronti del mito incapacitante partorito dai grillini, è già avvenuto proprio fra i settori popolari.
I primi otto mesi di governo di Giorgia Meloni, in pillole, sono stati caratterizzati da queste misure e da questi traguardi. A cui vanno aggiunti indicatori fondamentali come la tenuta (bassa) della spread, la promozione della agenzie di rating con il rialzo medio del Pil per il 2023 rispetto alle previsioni e un termometro fondamentale per misurare il tasso di fiducia che emerge dagli italiani: il boom del Btp Valore, «il più elevato di sempre in termini di valore sottoscritto» con 18,1 miliardi di titoli.
Morale? A parte la prova del nove che con il destra-centro a Palazzo Chigi non sono arrivati né i Giamburrasca né le cavallette (sulla difesa dei conti pubblici – per dirne una – la premier ha ottenuto il plauso della stampa internazionale) si può intravedere chiaramente l’impianto di quella che non è un azzardo ribattezzare “Melonomics”. Una formula, incastonata nell’epitaffio «non va disturbato chi produce», che racchiude i termini di una visione i cui valori in campo sono la fiducia nella società, nel genio italico e nella capacità di rigenerarsi del sistema – unico nel suo genere – delle Pmi, capaci di riprendersi con più forza e più intraprendenza dalla crisi del Covid. Il tutto dentro una cornice in cui lo Stato, come dimostra il golden power sulla vicenda Pirelli, è pronto a intervenire quando ciò serve per tutelare l’interesse industriale della Nazione.
L’effetto Meloni, dunque, ha iniziato a dispiegarsi anche in chiave economica. E si sente. Prova ne sia anche il bassissimo tasso di conflitto sociale, di fatto assente, a cui corrispondono le aperture tutt’altro che formali di parte significativa del fronte sindacale (Cisl su tutti, oltre l’Ugl) e di quello datoriale. Un effetto “stabilizzatore” per la storica irrequietezza del sistema politico-rappresentativo italiano: incapace per un decennio e più di fornire agli interlocutori internazionali un riferimento sicuro nel tempo, legittimato dal mandato popolare. Un innesco politico, poi, per un rinnovato protagonismo nel bacino del Mediterraneo. Con un’intuizione, quella del Piano Mattei, che è divenuta un paradigma su cui l’Europa inizia a ragionare “italiano” sulla gestione dei dossier energetici e migratori: alla luce – elemento decisivo – di un nuovo modello di cooperazione «non predatorio».
Niente male in solo 240 giorni di governo. Sufficienti però, per innervare le infrastrutture decisionali e politiche con una certa idea dell’Italia, degli italiani e del loro ruolo. Dieci anni fa fu questo richiamo “d’Italia” a dettare a Giorgia Meloni l’obiettivo di mettere in sicurezza la destra: custode e interprete di questa lezione. Dieci anni dopo è riuscita a fare proprio di questa sua destra il lievito di un governo che ha rimesso al centro lo sviluppo come elemento di emancipazione e di libertà.
È con la stessa “formula” che si candida adesso a portare in scala continentale il suo progetto: perché un’Europa solidale, partecipata e protagonista non può che essere frutto di popoli liberi e sovrani.