Tra le pagine più celebri e senza ombra di dubbio gloriose della storia d’Italia c’è quella scritta, nelle sabbie del deserto del Sahara, da tutti quelli che, appartenenti a diversi corpi militari italiani, hanno combattuto ad El Alamein. Il lungo scontro nei dintorni della località egiziana tra le truppe britanniche e quelle italiane e tedesche vide il suo apice tra il 23 ottobre e il 5 novembre 1942, quando gli inglesi ebbero la meglio e diedero una svolta praticamente definitiva alla campagna in Nordafrica. Prima di ottenere questo risultato, però, dovettero fare molta fatica. E questo grazie all’incredibile coraggio degli italiani, riconosciuto loro anche dai tedeschi, sempre piuttosto restio nell’ammettere le virtù belliche di eserciti diversi dal loro.
El Alamein dunque, su cui sono stati scritti numerosi volumi più o meno accurati di approfondimento e racconto. In questo come in altri casi, se si vuole davvero comprendere anche e soprattutto come chi ha partecipato alla battaglia l’ha vissuta, la cosa migliore è la memorialistica. E per quanto riguarda l’Italia, va letto senz’altro il bellissimo lavoro di Francesco Fagnani, che con partecipazione e pazienza ha raccolto la testimonianza di Santo Pelliccia, all’epoca parà della Folgore, scomparso nel 2019 e fino all’ultimo testimone indefesso di quanto vissuto (il volume è Sabbia d’intorno, roccia nel cuore, Ed. menabò 2019).
Da quei giorni storicamente pieni di episodi densi di onore, coraggio, senso del dovere e amore per la Patria, sono passati ottantadue anni. Un tempo lungo, ma mai troppo quando si tratta di ricordare il lascito di quei tanti che, noti e ignoti, hanno orgogliosamente donato la loro vita all’Italia, dimostrando a tutto il mondo cosa vuol dire essere Eroi. Tra loro i Ragazzi della Folgore, “di presidio per l’eternità tra sabbie non più deserte” come si legge nella scritta a loro dedicata dal Tenente Colonnello Alberto Bechi Luserna che campeggia su una lapide posta all’ingresso del Sacrario militare italiano; i Bersaglieri, ai quali si deve il notissimo motto “Mancò la fortuna, non il valore”, inciso su un cippo poco distante dal luogo che ospita il riposo di 4600 nostri Caduti; i carristi dell’Ariete, i soldati della Pavia e i valorosi appartenenti a tutte le altre unità combattenti, ricordate con un cippo commemorativo posto lungo la Via Eroica, che dall’ingresso porta alla maestosa Torre bianca voluta e realizzata da Paolo Caccia Dominioni.
Le loro storie colpiscono, insegnano, emozionano e fanno crescere. Loro, che si sono sacrificati per l’Italia senza chiedere altro che essere ricordati, sono diventati Esempio, valido sempre ma in particolare oggi che viviamo in un tempo superficiale e pieno di falsi miti.
“Al di là di ogni tipo di retorica, l’Esempio dei ragazzi di El Alamein dovrebbe far riflettere tutti quelli che oggi non sanno o non vogliono dare un senso all’amore sconfinato per le proprie radici e per il proprio Paese, proponendo un finto nazionalismo che si limita alle manifestazioni sportive per poi decadere, quando si tratta di riconoscere davvero la grandezza dell’Italia, in atteggiamenti ideologicamente e stupidamente denigratori” si legge in un articolo de Il Giornale d’Italia, che prosegue sottolineando che ricordare i Caduti di El Alamein, “comunque la si pensi, dovrebbe essere percepito come un dovere da parte di tutti coloro che, in ogni tempo, hanno a cuore i destini dell’Italia. Nei quali, come recita la scritta su di una lapide posta sull’edificio della base di Quota 33, non bisogna mai disperare”.