Le immagini che arrivano dalle Marche sono terribili, e dimostrano, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che la natura ci sta dicendo qualcosa. In appena due ore è venuta giù la metà dell’acqua che normalmente dovrebbe piovere in un anno. Gli esperti dicono che la spiegazione va cercata nel lungo periodo di siccità che abbiamo attraversato: più il terreno è secco, minore è la capacità di assorbire l’acqua piovana, più diminuisce la capacità di assorbimento, più aumenta il rischio esondazioni. Si contano danni, vittime e dispersi.
Bisognerebbe rimboccarsi le maniche e aiutare, rispettare il dolore di un’intera comunità sommersa dal fango, e capire cosa fare perché una simile tragedia non si ripeta. Ma siamo in Italia e di mezzo c’è una campagna elettorale.
E allora ci tocca assistere ad uno spettacolo non proprio edificante: si dispensano colpe, si imbastiscono processi mediatici, si strumentalizza il dramma. È un malandazzo indecente e rivela l’assoluta mancanza di visione di chi lo sta portando avanti.
A chi in queste ore si riempie la bocca di dichiarazioni, vorremmo chiedere: come mai, pur avendo guidato la Regione Marche per decenni, non vi siete occupati di prevenzione? Ovvero di mettere a terra quei 45 milioni di euro stanziati dall’allora governo Renzi per contrastare il rischio alluvioni? Domanda a cui le giunte piddine in questione dovrebbero dare urgentemente risposta.
Ma c’è di più. Proprio come nel caso dell’ormai famoso “Piano pandemico”, anche per contrastare e limitare gli effetti della crisi climatica dovrebbe esserci un piano. È il cosiddetto “Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici” (Pnacc). Di cosa si tratta? Provate a cercarlo su internet, come abbiamo fatto noi, e arriverete sul sito del Ministero della Transizione ecologica. Ne potete tranquillamente scaricare una versione in pdf e, la prima cosa che vi balzerà all’occhio, già dalla copertina, è che il piano è “in via di approvazione”… dal 2018.
Adesso, aprite una seconda schermata, e consultate il programma del Pd. Vi agevoliamo nella ricerca dicendovi già che, in proposito, i dem promettono di mettere in sicurezza il Paese grazie ad “un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici”. C’è qualcosa che non torna. Il piano, come detto, c’è già. La prima stesura risale al governo Gentiloni, era il 2016, poi è stato rimaneggiato dal Conte I e “dal 2018 è rimasto in attesa di approvazione della Valutazione ambientale strategica”, come ricordato dal climatologo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Sergio Castellari, in una recente intervista a “Scienza in rete”. Questo significa che né il Pd né i Cinque Stelle, che da sempre si ergono a paladini dell’ambiente e della sostenibilità, hanno avuto la determinazione e l’interesse necessari a portare a compimento l’impresa. Invece di vendere fumo agli elettori, perché le forze politiche che hanno governato sinora, Pd in primis, non hanno il coraggio di dire anche questo? Forse ci vorrebbe più serietà, più concretezza e meno demagogia.
Ed è proprio questo che ha in mente Fratelli d’Italia: disincagliare dopo anni di tentennamenti e lungaggini il Pnacc, senza se e senza ma. “Aggiornare e rendere operativo il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici”, si legge nell’elenco di priorità scandite dal partito guidato da Giorgia Meloni alla voce dedicata alla difesa dell’ambiente e della natura.
Quanti di quelli che oggi danno lezioni se ne sono ricordati? E poi c’è un altro punto molto concreto. Forse addirittura banale, ma nel Paese dove c’è sempre una scusa per non fare, è necessario persino ribadire l’ovvio: approfittando del basso livello delle acque, Fdi vuole lanciare un piano straordinario di bonifica e pulizia dei fondali di laghi e fiumi per migliorare la qualità delle acque e, al tempo stesso, limitare le esondazioni. L’Ordine dei geologi delle Marche, dopo il dramma di questi giorni, la indica come una delle tante azioni che si possono e devono mettere in campo per evitare il ripetersi di simili calamità. Le parole perdono di significato se non vengono seguite da azioni concrete. È ora che un ambientalismo conservatore, e quindi pratico, possa occuparsi della nostra Italia perché, come scriveva il filosofo spagnolo Ortega Y Gasset, “io sono me più il mio ambiente e se non preservo quest’ultimo non preservo me stesso”.