Il Covid ha ripreso a correre e già, purtroppo, si ventilano interventi restrittivi e nuove misure da realizzarsi in autunno, con il ritorno della famigerata mascherina e l’avvento di una quarta dose vaccinale.
L’emergenza sanitaria si tinge, ogni giorno, di nuove minacce: il vaiolo delle scimmie è solo l’ultima di una serie preoccupante di situazioni attenzionate dall’OMS. La pandemia è in buona compagnia. La guerra che preme alle porte dell’Occidente si conferma brutta, sporca, cattiva e destinata a protrarsi nel tempo, seminando morte, paura e incertezze diffuse. Crisi economiche, energetiche, alimentari, umanitarie nel senso più ampio e complesso del termine.
A tutto questo si unisce l’allarmismo, per una volta pienamente condivisibile, dovuto alla penuria di acqua, l’oro blu del nuovo millennio. Migrazioni in massa, da sud e da est, non risparmieranno nessun paese. Ci si dovrà adeguatamente preparare, dal momento che l’accoglienza non può, o non dovrebbe, prescindere dall’organizzazione, dalla competenza e da una progettualità condivisa. La politica, invece, sonnecchia, procede a tentativi, si contraddice, mostrando una fragilità che lascia basiti, semplicemente esterrefatti.
Governi deboli, fragili, in perenne equilibrio tra il nulla e il relativo, protesi verso il dolce far niente, sordi e ciechi alle esigenze dei popoli. La politica tutta, non ci interessa indicare longitudini o latitudini geografiche, è vivamente pregata di battere un colpo, di dare segni di vita, di non attendere la catastrofe prima di intervenire, piazzando, come suo solito, un cerotto alla bell’e meglio, tentando di arrestare emorragie e cancrene incurabili, rese tali dall’incompetenza, e dall’ignavia, dei suoi attori non protagonisti.
Mentre il globalismo mondiale evidenzia crepe strutturali, si discetta amabilmente di piantine di cannabis, di capricci civili, di eroismi democratici contro nemici immaginari, si combattono intolleranze con i “nobili” strumenti della diffamazione, dell’offesa gratuita, dell’etichettatura infamante, del fango scagliato a casaccio per coprire le proprie mancanze. Servono cultura, amore per il servizio, umiltà, attaccamento ai valori, lungimiranza e coraggio.
La politica deve tornare a esprimere l’eccellenza, valorizzando la militanza e il merito, rifuggendo logiche altre. La gestione della cosa pubblica è un onore e una responsabilità, non un mero mestiere finalizzato all’arricchimento personale o all’appropriazione di metri quadrati di potere.
Mi si lasci concludere prendendo in prestito le seguenti affermazioni di Carlo Maria Martini, monito per gli uomini di ogni epoca: “Il livello di allarme si raggiunge quando lo scadimento etico della politica non è neppure più percepito come dannoso”.