Erika Saraceni ha conquistato l’oro nel salto triplo agli Europei Under 20, polverizzando il record della sua categoria. Un’impresa che in un Paese normale dominerebbe tutte le prime pagine e che, invece, deve accontentarsi di qualche trafiletto, ignorata dai media mainstream che decidono chi meriti la luce dei riflettori e chi debba restare nell’ombra.
Perché? Perché Erika è troppo italiana, troppo “normale”, troppo distante dai dogmi del politicamente corretto per diventare l’icona che certi ambienti giornalistici venerano. Non si piega a slogan, non serve narrazioni preconfezionate. E questo basta per cancellarla.
I riflettori, invece, si accendono su Kelly Doualla, oro nei 100 metri: atleta di talento, ma trasformata in simbolo di una “diversità” a senso unico. La sua vittoria, anziché essere celebrata per il merito sportivo, diventa un grimaldello politico per un’agenda che soffoca lo sport.
Dispiace per atlete come Doualla, strumentalizzate per fini ideologici che – implicitamente – anziché esaltare con un unico metro di giudizio le straordinarie imprese compiute da tutti gli atleti Azzurri, le riducono a bandiere di una causa. Il vero scandalo è che il talento di Erika, di Kelly e di Diego Nappi – altro oro dimenticato – non venga misurato allo stesso modo, ma filtrato attraverso l’utilità politica.
Questo è il volto ipocrita del wokismo: un’inclusività che esclude, un razzismo al contrario che premia o cancella in base all’aderenza al pensiero unico. Lo abbiamo visto anche con Sydney Sweeney, attaccata per uno spot di American Eagle perché la sua bellezza classica – bionda, bianca, etero – è stata bollata come “nazismo” dagli invasati woke. Erika subisce lo stesso trattamento: il suo oro non conta perché non si allinea al copione. Il merito è morto; contano solo le narrazioni utili al potere.
E non è solo un problema italiano. In tutto l’Occidente, l’informazione è ostaggio di un’ideologia che bolla come “razzismo” o “fascismo” chiunque osi dissentire. Chi critica l’immigrazione clandestina? Razzista. Chi vota Meloni o Trump? Fascista.
Nel Regno Unito, mentre la criminalità dilaga, la polizia irrompe nelle case di cittadini che denunciano l’immigrazione incontrollata sui social, accusandoli di “hate speech” o “disinformazione”. Siamo oltre l’Orwell di 1984: questo è nazicomunismo 2.0, dove la libertà di parola è un crimine.
Il caso di Erika Saraceni non è solo un’ingiustizia sportiva: è il sintomo della crisi profonda dell’informazione in Occidente. Media che dovrebbero essere sentinelle della verità, sono diventati cagnolini al guinzaglio di padroni ideologici, selezionando chi esaltare e chi ignorare, sacrificando il talento sull’altare del pensiero unico globalista.
L’Italia tradizionale – quella che Erika rappresenta con il suo saluto a “mamma e papà” – viene messa in disparte, giudicata non abbastanza “moderna” per meritare gloria. Ma il talento di Erika, come quello di Kelly, non ha bisogno di filtri ideologici per brillare.
Finché i media anteporranno gli slogan al sacrificio, lo sport e la verità resteranno ostaggi di un sistema malato. Serve una rivoluzione culturale: media veramente liberi che raccontino i fatti senza il lasciapassare del politicamente corretto, che celebrino ogni atleta per il suo valore e non per la sua utilità a una causa. La libertà d’opinione non è negoziabile: è un diritto sacro, e il caso di Erika ci ricorda che è tempo di combattere per riconquistarla.