di Roberto De Chiara
La decisione del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte di dare vita ad una task force di esperti per “elaborare e proporre misure necessarie a fronteggiare l’emergenza e per una ripresa graduale nei diversi settori delle attività sociali, economiche e produttive” è divenuta oggetto di ampio dibattito nell’opinione pubblica e ha mostrato una volta di più la tendenza del Governo a delegare ad altri scelte che sono di propria esclusiva competenza, sottraendo ogni relativo dibattito alle sedi istituzionali che sarebbero deputate a confrontarsi e ad elaborare proposte per le strategie di politiche economiche e sociali.
L’enfasi con cui è stato presentata questa task force, con tanto di pubblica investitura durante una conferenza stampa in diretta televisiva del Presidente Conte, fa ben capire come si vada ben oltre la nomina di un gruppo di saggi o consulenti della Presidenza del Consiglio, e che si tratti in realtà di un organismo a cui il Governo chiede di elaborare le strategie che verranno tradotte in provvedimenti operativi, vincolanti per cittadini e imprese, senza nessuna possibilità di dibattito e contraddittorio nelle sedi istituzionali appropriate.
Infatti, ciò che colpisce dell’iniziativa presidenziale di avvalersi di questo comitato di esperti, in molti casi sconosciuti al grande pubblico, per l’elaborazione delle strategie per la cosiddetta Fase 2 o di ripartenza dall’emergenza coronavirus, è che si tratta di un organismo che risponde direttamente al Presidente del Consiglio dei Ministri e che, di fatto, è autoreferenziale, visto che “opera in coordinamento” con il Comitato Tecnico Scientifico di supporto al Capo del Dipartimento di Protezione Civile – organismo nato per il solo supporto tecnico alle scelte in materia scientifica e sanitaria di protezione civile e che quindi non entrerà nel merito di decisioni di natura economico sociale – e visto che ha una mera “facoltà” di promuovere audizioni su materie di competenza del comitato, rimettendo dunque alla propria discrezionalità l’eventuale coinvolgimento di quei settori che poi dovranno “subire” le conseguenze delle decisioni adottate (organismi finanziari, mondo bancario, organizzazioni dei settori produttivi, sigle sindacali, terzo settore…).
Era proprio necessario per il Presidente del Consiglio creare dal nulla un simile organismo a suo uso e consumo? La risposta comune a tale domanda è che, trattandosi di una situazione emergenziale, il Presidente Conte deve avvalersi di un supporto tecnico qualificato immediatamente operativo, non potendo delegare la scelta delle iniziative da intraprendere alla dialettica politica e men che meno al confronto parlamentare, per la necessità di avere risposte immediate incompatibili con i tempi delle discussioni politiche. Si fuoriesce quindi dal campo “politico” per restare su un piano “tecnico”, e su questo versante si muovono gli esperti della task force nominata dal Presidente Conte.
Ma, allora, la risposta al quesito precedente anziché essere positiva dovrà, a maggior ragione, essere negativa, perché, nei fatti, in Italia un organismo con competenze tecniche in materie economico e sociali esiste già e non è stato ideato al termine di una riunione tra Conte, Rocco Casalino e Casaleggio jr con il tacito assenso di qualche esponente del PD, ma addirittura dall’Assemblea Costituente che gli ha dedicato un articolo della nostra Costituzione, il n. 99: si tratta del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, conosciuto come CNEL, a cui è stato assegnato il compito di svolgere consulenza alle Camere e al Governo nelle materie di sua competenza, unitamente alla facoltà di contribuire all’elaborazione della legislazione economica e sociale nel rispetto dei principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge. E, difatti, con la legge 30 dicembre 1986 n. 936, il Parlamento ha disegnato l’elenco delle competenze del CNEL tra cui spiccano la “politica e programmazione economica e sociale”, la “congiuntura economica”, gli “andamenti generali, settoriali e locali del mercato del lavoro” e la “valutazione delle politiche pubbliche”.
Insomma, il CNEL ha il compito di svolgere, per espressa previsione della Costituzione italiana e di una legge attuativa approvata dal Parlamento, ciò che il Presidente Conte, con un semplice decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri (DPCM), ha assegnato ad un gruppo autoreferenziale di esperti. E tanto basterebbe per mettere a tacere quanti discettano della legittimità dell’operato della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
E non si potrebbe neppure obiettare che la task force in questione, presieduta dal manager Vittorio Colao, si è insediata immediata ed è già operativa, perché il CNEL, dimostrando piena operatività nella fase emergenziale, ha già compiutamente svolto attività di raccolta e disamina delle valutazioni delle varie organizzazioni dei settori produttivi, secondo cinque linee direttrici (lavoro, fisco, credito e liquidità, continuità produttiva e indennizzi), e pubblicandone gli esiti dapprima in data 11 marzo, e poi il 15 aprile, come si evince dai documenti consultabili sul sito istituzionale del Consiglio.
In pratica, il Governo non solo poteva avvalersi del supporto di un organismo istituzionale dal ruolo e dalle funzioni certamente più definite e autorevoli di quelle di un semplice comitato di esperti, per quanto importanti nei rispettivi ambiti professionali, ma aveva altresì già a disposizione un lavoro qualificato e completo di raccolta delle istanze e valutazioni di tutti i settori produttivi, da cui poter trarre ogni tipo di proposta per la ripartenza economica e sociale dell’Italia, senza dover ricominciare il lavoro da zero e a discrezione del neo costituito gruppo di lavoro.
A questo punto sorge il dubbio sul perché il Presidente Conte, dopo aver cercato di silenziare il Parlamento, abbia esautorato anche quest’altro organo costituzionale delle sue funzioni.
In assenza di una risposta certa tra le varie ipotesi percorribili, un indizio potremmo ritrovarlo su un possibile non allineamento della governance del CNEL sulle posizioni dell’attuale maggioranza di governo, cosi che non c’è alcun interesse del Governo a dare spazio a orientamenti che, per la loro fonte qualificata, potrebbero essere scomodi.
A tal riguardo si segnala che, in data 26 marzo, il CNEL, nell’ambito delle sue competenze di politica dell’Unione Europea, ha prodotto un documento in cui propone una serie di iniziative per il superamento della crisi dovuta alla pandemia da Covid – 19 tra cui spiccano l’emanazione degli Eurobond, l’immissione di liquidità immediata per il rilancio dell’economia, il superamento (e non la sospensione) del patto di stabilità, l’insufficienza del Quantitative Easing, senza invece menzionare minimamente il MES come strumento salvifico o fare riferimento a “prestiti” con condizioni più o meno favorevoli. Un orientamento non proprio in linea con quanto il Governo otterrà nelle sedi europee, a dispetto di certi proclami del Presidente Conte e alle contraddittorie proposte dei partiti di maggioranza.
Quindi, stando così le cose, meglio lasciare nell’oblio il CNEL con i suoi studi, le sue ricerche, le sue valutazioni e le sue proposte nelle materie economico – sociali, specie se hanno il retrogusto di certe proposte sovraniste che tanto fastidio danno al Presidente Conte. Non sia mai che mettano definitivamente a nudo la pochezza di questo esecutivo e l’inconsistenza politica e amministrativa di un Presidente che, anziché affrontare i problemi, si limita a delegarli sperando che, prima o poi, arrivi qualcuno con la bacchetta magica a risolverli per conto suo.