Fascismo immaginario: quando la sinistra combatte un nemico che non c’è

In un’epoca segnata da crisi globali, trasformazioni geopolitiche e sfide interne sempre più urgenti, ci si aspetterebbe dalla politica una dose minima di lucidità e concretezza. E invece, per la sinistra italiana, il vero pericolo sembra essere ancora e incredibilmente il fascismo.
Sui social e nelle dichiarazioni pubbliche di molti esponenti del centrosinistra, infatti, la parola “fascista” è tornata ad essere un’etichetta jolly. Ogni occasione è buona per utilizzarla, col solo scopo di colpire qualsiasi iniziativa del Governo Meloni. Un riflesso pavloviano, più che un’analisi politica.

Tra i molti noti, Ilaria Salis è di certo quella che più di altri adora utilizzare questo espediente, tanto che in soli due giorni è riuscita a definire “fascista” sia lo sgombero del centro sociale Leoncavallo a Milano, sia un’operazione di sbarco di migranti nel porto di Genova. Due episodi completamente diversi, accomunati solo dalla necessità di ristabilire la legalità.

Eppure, secondo questa narrazione, ogni volta che il Governo fa rispettare una norma, ogni qualvolta si contrasta l’illegalità o si cerca di gestire l’immigrazione con criteri razionali, siamo di fronte a un ritorno del fascismo. Una distorsione ideologica che non regge alla prova dei fatti, ma che pur tuttavia continua a essere utilizzata per mobilitare facili consensi.

È chiaro: la retorica dell’“allarme fascista” è una scorciatoia. Quando mancano idee, programmi e visione, si preferisce attaccare l’avversario delegittimandolo moralmente. È una strategia vecchia quanto inefficace, che però continua a fare presa, specialmente su un pubblico giovane che, spesso, non ha nemmeno gli strumenti per comprendere cosa fu davvero il fascismo storico.
Basti pensare a quel video diventato virale tempo fa, in cui alcuni giovani intervistati per strada non riuscivano nemmeno a spiegare cosa significhi la parola “fascismo”. Un vuoto culturale che dice molto sull’utilizzo strumentale e superficiale di questo termine.

E così, eventi anacronistici come la “pastasciutta antifascista” di Torino – che pure nasce da una tradizione storica – oggi sembrano più una rievocazione nostalgica di un nemico immaginario che un gesto consapevole di memoria.

E dunque qui la vera domanda è: ha davvero senso, nel 2025, ribadire che “siamo tutti antifascisti”?

L’Italia è da oltre 70 anni una democrazia parlamentare. Se antifascismo significa rigetto di qualsiasi forma di regime autoritario, allora dovrebbe valere anche per il comunismo. Ma questo discorso, per alcuni, resta ancora un tabù.

Ma alla fine, il punto è semplice: se il principale argomento contro un governo democraticamente eletto è il richiamo costante a un fascismo che non esiste più, il problema non è il Governo in sé. Quanto piuttosto una opposizione che, invece di fare politica, continua a gioca a combattere fantasmi. E il peggio è che lo fa senza sapere nemmeno che forma avessero davvero quei fantasmi.

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