Il centrosinistra tutto, da Azione a Alleanza Verdi e Sinistra, è minoranza sul piano nazionale perché così hanno sancito gli elettori alle elezioni politiche del 2022 e tale rimarrà almeno fino alla scadenza naturale della legislatura visto che il Governo Meloni completerà il proprio mandato.
È possibile che le sinistre proseguiranno ad essere opposizione anche dopo le prossime Politiche e ciò non corrisponde soltanto ad un nostro auspicio, per così dire, di parte, ma viene suggerito dall’andamento della popolarità periodica, certificata dai sondaggi, anche da quelli commissionati dai media più avversi al Governo, sia della coalizione di centrodestra che delle forze di opposizione. Ebbene, a livello nazionale, la prima, con Fratelli d’Italia dato ad oltre il 30 per cento, continua a guidare ampiamente la corsa e, se si tornasse a votare, per esempio, domani o dopodomani, essa ritornerebbe subito a Palazzo Chigi, mentre le seconde, anche se si compisse il “miracolo” di una unione dal partito di Carlo Calenda all’estrema sinistra di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, resterebbero minoritarie nella Nazione.
Lo stato dell’arte è questo: il centrodestra governa da due anni e mezzo, lo fa nel miglior modo possibile, mantiene e aumenta il consenso perché gli italiani comprendono gli sforzi della buona politica del Governo Meloni, e ha altissime chance per una riconferma, e le sinistre, nel frattempo, vengono percepite dalla maggioranza del corpo elettorale come un qualcosa che deve stare lontano ancora per molto tempo dalla stanza dei bottoni, dopo un decennio di manovre di Palazzo, disprezzo verso la volontà popolare, governi innaturali e abborracciati, buchi drammatici nel bilancio dello Stato. Certo, anche una compagine governativa ben salda in tutto il Paese, quale è il centrodestra a trazione meloniana, può cedere il passo in qualche consultazione amministrativa, in qualche città o Regione, alle opposizioni, com’è successo a Genova e a Ravenna, e ciò riguarda tutte le democrazie, ma non è ragionevole parlare di radicali inversioni di rotta della politica nazionale.
Nel caso di Genova e Ravenna non stiamo affatto dicendo che Fratelli d’Italia ed alleati debbano fregarsene della sconfitta, anzi, al contrario, ogni qualvolta si perde, si trattasse anche di centri cittadini più piccoli del capoluogo ligure e della città più importante della Romagna, bisogna sempre interrogarsi su dove si abbia sbagliato, se in merito al candidato Sindaco oppure circa la conduzione della campagna elettorale, ma la blindatura di Ravenna da parte del PD o il ritorno della sinistra a Genova non sono senz’altro il segnale dell’inizio della fine del feeling fra l’Italia e Giorgia Meloni. Eppure le sinistre, a corto di argomenti e di vittorie, così come avevano fatto con il successo di misura di Alessandra Todde in Sardegna, dopo Genova e Ravenna sono tornate a cianciare di una improbabile conclusione dell’onda lunga meloniana. Teniamo presente, fra l’altro, che il Partito Democratico, seguito da un Movimento 5 Stelle comunque debolissimo localmente qua e là per l’Italia, vince dove non è in ogni caso impossibile sfangarla, nonostante la surreale leadership nazionale di Elly Schlein, ovvero, nella storicamente rossa Emilia Romagna e a Genova, amministrata sempre, a parte la parentesi di Marco Bucci, da Sindaci di centrosinistra.
Segnaliamo altresì, visto che si è votato anche altrove e per rimettere un po’ le cose in ordine, le ottime performance del centrodestra nei Comuni d’Abruzzo e in provincia di Roma. Ma niente, Elly Schlein crede che la sua avversaria Giorgia Meloni debba iniziare a tremare e il neo-Sindaco genovese Silvia Salis, a quanto pare, si è già montata un po’ la testa. Per la neo-eletta Salis, il campo largo unito lascia la destra senza argomenti. Addirittura? Bene, comprendiamo l’entusiasmo per la fresca vittoria e ci spingiamo a sfidare la prima cittadina di Genova e tutti i suoi compagni, locali e nazionali. Unire PD, M5S e gli altri in occasione di elezioni amministrative e magari mantenere o riconquistare qualche feudo rosso e rossastro, non è un esercizio difficile, e la vera scommessa deve essere quella di realizzare il cosiddetto campo largo nazionale come alternativa di governo alla destra di Giorgia Meloni.
Se si ritiene che il trend generale sia ormai mutato, beh, non resta che rompere gli indugi a Roma, e non solo nelle varie città italiane. Qui però, con buona pace della baldanza di Silvia Salis, si va incontro al dramma perché la politica nazionale, a differenza di quella amministrativa presso gli Enti locali, impone alle coalizioni, sia di maggioranza che di minoranza, di parlare con una voce sola in merito agli affari interni e a quelli esterni della Nazione, altrimenti non si è credibili né al timone del Paese e nemmeno come proposta politica alternativa futuribile. Ed Elly Schlein e Giuseppe Conte ben difficilmente riusciranno a soddisfare i desideri del Sindaco di Genova perché hanno poche idee che peraltro non combaciano e impediscono a PD e M5S di unirsi in un’alleanza definitiva e duratura.
Conte ha gelato da subito le velleità di Silvia Salis, affermando di non credere alle sommatorie puramente aritmetiche, che magari consentono pure di vincere, ma poi non funzionano dal lato pratico. Il leader del M5S ha quantomeno un’idea di politica estera riconoscibile, brutta, ma evidente, cioè, il terzomondismo anti-occidentale che strizza l’occhio ad Hamas e a Paesi come Russia, Cina e Iran. Elly Schlein non ha invece posizioni su nulla e glissa le domande dei giornalisti in maniera sistematica circa il ReArm Europe, gli aiuti all’Ucraina e il posizionamento italiano rispetto agli Stati Uniti. In realtà, Elly la pensa come Giuseppe Conte, ma rimane sul vago affinché metà del proprio partito, che mal sopporta i toni da centro sociale, non le si rivolti contro. Tanta drammatizzazione per la Striscia di Gaza da parte delle sinistre e poi diventa impraticabile persino una manifestazione unitaria. Azione e Italia Viva esprimeranno la loro vicinanza a Gaza restando però ben lontani da PD, M5S e AVS. Non riescono a trovare una sintesi come opposizione e figuriamoci se questi signori dovessero rappresentare l’Italia in sede europea o in qualunque altro consesso internazionale.