FdI e la verità sulle modifiche al Pnrr: “Non ipotecheremo il futuro dei nostri figli”

Il Pnrr è diventato come la Costituzione: intoccabile. La sinistra lo va ripetendo da giorni, settimane, mesi.

Non importa se, proprio come per la suprema carta, che all’articolo 138 annovera il procedimento di revisione costituzionale, anche il regolamento europeo sull’utilizzo dei fondi del Next Generation Eu (Ngeu), all’articolo 21, preveda espressamente i casi in cui i governi nazionali possono chiedere la modifica del Pnrr.

“Se il piano per la ripresa e la resilienza, compresi i pertinenti traguardi e obiettivi, non può più essere realizzato, in tutto o in parte, dallo Stato membro interessato a causa di circostanze oggettive, lo Stato membro (…) può proporre un piano per la ripresa e la resilienza modificato o un nuovo piano per la ripresa e la resilienza”.

La richiesta di modifica o, addirittura, di sostituzione va presentata alla Commissione europea e, ovviamente, deve essere “motivata”. La Commissione, a questo punto, può fare due cose: respingerla o accoglierla. Nel secondo caso, valutato il nuovo piano, la Commissione lo presenterà al Consiglio affinché gli dia esecuzione. Insomma, consultando il capitolato, emerge in maniera chiara e incontrovertibile che il Pnrr non è affatto intoccabile, la sua revisione è un’opzione prevista e percorribile. Non sarà l’apocalisse e non arriveranno in massa le cavallette se, anche noi, come sta già facendo senza scandali il Portogallo, decideremo di rinegoziare il nostro Pnrr.

Certo, non è una questione immediata, ci sono diversi passaggi da affrontare e per ottenere il via libera ci possono volere anche tre mesi. Dite che siamo nel bel mezzo di un’emergenza e che non si può perdere altro tempo? Ne siete proprio sicuri? Il solo Dispositivo per la ripresa e resilienza, che è il principale strumento Ngeu, garantisce all’Italia risorse per 191,5 miliardi di euro. È un importo senza precedenti e può fare la differenza. Attenzione, però, nessuno ci sta regalando nulla. Uno: perché in nostro Paese è uno dei primi contributori netti dell’Ue. Due: perché di quei 191,5 miliardi, circa 63,8 saranno in sussidi e fino a 127,5 in prestiti. Questo significa indebitamento.

Nell’elenco dei Paesi che hanno avuto accesso alle risorse, il nostro ha beneficiato della fetta più grande, come amano ricordare i talebani dell’europeismo, ma vanta anche la componente di prestito più elevata (circa il 60%). Entro la fine del 2058 bisognerà onorare le obbligazioni, a quale tasso d’interesse? Non si sa, il governo italiano ha deciso di non divulgarlo “per motivi di sicurezza” e non è un aspetto di poco conto. Non fraintendiamoci, nessuno qui è un irriducibile del pareggio di bilancio. L’indebitamento non è sempre sinonimo di catastrofe: se gli investimenti sono azzeccati e la programmazione è puntuale, anche il peggior debito può trasformarsi in guadagno, crescita, opportunità. C’è di mezzo un’economia, la nostra, sull’orlo della stagflazione, e allora non si può rimanere a guardare.

C’è però un però. Ce lo ricorda Fdi nel suo programma elettorale: “Il prezioso strumento del Pnrr è stato modulato sulla crisi economica dovuta alla pandemia. È quindi evidente che oggi, con lo scoppio della guerra in Ucraina e il repentino mutamento dello scenario economico globale, non risponda più a pieno alle sopraggiunte priorità economiche e sociali”. Il nostro parlamento l’ha approvato ad aprile 2021 e il disco verde dall’Ue è arrivato a luglio 2021. Nessuno, probabilmente neppure lo stesso zar, all’epoca poteva mettere in conto l’irruzione dei carri armati a Kiev e, con essi, l’inizio di una guerra energetica di logoramento e di una spirale speculativa senza precedenti. Luce, gas, carburanti e materie prime hanno subito dei rincari impossibili da prevedere. “Interi settori produttivi e dei servizi – si legge nel programma di Fdi – si sono improvvisamente ritrovati in una situazione di estremo affanno e (…), al tempo stesso, si sono imposte nuove priorità: l’approvvigionamento energetico, il contrasto all’emergenza idrica e la necessità di reinvestire sulla produzione agroalimentare”.

Se tutto ciò non rientra nelle “circostanze oggettive” che, come detto, devono essere alla base di una eventuale richiesta di aggiornamento del Pnrr, ci risulta davvero difficile capire a cosa si riferisca il legislatore europeo: forse ad una invasione alinea? Aggiornare e migliorare il piano, attualizzarlo, renderlo davvero capace di rispondere alle necessità del Paese.

È questa la proposta di Fdi. Non è una bestemmia, ma un ragionamento di buon senso. “Bisogna essere consapevoli del fatto che eventuali scelte sbagliate graveranno sopratutto sui nostri figli, che potrebbero ritrovarsi a sopportare il peso di un debito ereditato”, ricordano ancora dal partito. L’ipotesi aggiustamenti non è stata scartata neppure dal commissario Ue all’economia Paolo Gentiloni, che ieri diceva così: “Siamo aperti a discutere punti limitati e specifici, ma non riaprire o rinviare impegni chiave”.

Qualcuno avvisi Letta e compagni.

Efficiente utilizzo di risorse Pnrr e fondi europei

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