La narrazione “umanitaria” della Flotilla regge sempre meno. A ignorarla, anzi a criticarla apertamente, non è un governo né un partito, ma il capo della Chiesa cattolica in Terra Santa. Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, ha chiarito che l’iniziativa «non porta nulla alla gente di Gaza» e che «avrei evitato un confronto così diretto», invitando a «parlare meno della Flotilla e più di ciò che accade a Gaza». Parole nette, pronunciate in un’intervista a Mario Calabresi, che riconoscono le «buone intenzioni» degli attivisti ma ne svelano la sostanziale inutilità operativa.
C’è di più. Pizzaballa ricorda che era stato coinvolto dal Governo italiano in una soluzione concreta: fermare le barche a Cipro e far proseguire gli aiuti verso Gaza passando per il porto israeliano di Ashdod, con la collaborazione del Patriarcato latino. Una via praticabile, sicura, immediata. Gli organizzatori l’hanno rifiutata, preferendo lo scontro mediatico.
Anche il mondo cattolico vicino al territorio ha rilanciato il giudizio del Patriarca: iniziativa “risvegliatrice” di coscienze sul dramma di Gaza, sì; ma incapace di produrre benefici reali e dunque da sostituire con soluzioni politiche e umanitarie efficaci. È il senso delle ricostruzioni che mettono in fila i due piani – la spettacolarizzazione del viaggio e la concretezza degli aiuti – e che ricordano il ruolo del Patriarcato nelle proposte di corridoio.
Tradotto: meno passerelle, più aiuti che arrivano davvero. La posizione di Pizzaballa taglia il nodo di giorni di propaganda, confermando ciò che il buonsenso suggeriva fin dall’inizio: forzare un blocco navale con barche di attivisti non accelera la pace né migliora la vita dei civili, mentre canali umanitari concordati – con mediazione delle istituzioni e della Chiesa locale – possono farlo.
Il Patriarca non si unisce al coro della contrapposizione: auspica che «tutto si concluda nel modo più pacifico possibile» e invita a spostare i riflettori «dalla Flotilla a Gaza», cioè dai palchi alla realtà. È una bussola morale e pragmatico-politica insieme: stop alle scenografie, avanti con la via diplomatica e con l’assistenza negoziata.
In Italia, intanto, la vicenda è stata trasformata in una battaglia di piazza e di bandiere. Ma se anche il Patriarcato latino – protagonista sul campo, non da salotto – dice che l’operazione «non cambia la situazione a Gaza», la discussione torna dove deve stare: misurare le azioni sui risultati. Aiuti che passano e arrivano, non hashtag.
Il punto. La linea è semplice e popolare: salvare vite e sostenere i civili significa usare canali sicuri, verificabili, condivisi con chi può davvero aprire porte e magazzini. Tutto il resto è rumore di fondo. E quando questo lo dice il pastore di Gerusalemme, vale doppio.