Flotilla verso Gaza, rischio calcolato male

Crosetto avverte: «Pericoli elevatissimi». Intanto il fotoreporter Celesti scende: «Missione snaturata, così si va al massacro»

La narrativa zuccherata della “flotta umanitaria” si scontra con la realtà: barche civili, mare ostile, un blocco navale dichiarato e un avversario che non scherza. Il ministro della Difesa Guido Crosetto lo ha detto chiaro alla delegazione italiana: se si prova a forzare, «i rischi sono elevatissimi e non gestibili».

Dal governo italiano è arrivato un doppio segnale di responsabilità: assistenza umanitaria in mare con due unità della Marina e, in parallelo, la richiesta agli attivisti di non avvicinarsi alle acque controllate da Israele. La priorità – ribadita anche dalla Farnesina – è usare canali umanitari e diplomatici già attivi, perché sono gli unici che garantiscono risultati senza trasformare la protesta in un’azione suicida.

Dall’altra parte, però, prevale la linea del “tirare dritto”. La portavoce italiana della Flotilla, Maria Elena Delia, ha parlato di «piena legalità» in acque internazionali e di rotta confermata verso Gaza. In mezzo, le opposizioni che benedicono la missione e perfino invocano una scorta europea, ignorando che l’obiettivo dichiarato dal comitato è “rompere” un dispositivo militare. È qui il cortocircuito: si confonde l’attivismo politico con l’azione umanitaria, scaricando sulle nostre istituzioni la responsabilità di un azzardo.

Un dato concreto aiuta a capire: nelle ultime ore si sono moltiplicate le defezioni dagli equipaggi. Il fotoreporter fiorentino Niccolò Celesti ha lasciato la spedizione dopo la sosta a Creta: «Non dovevamo entrare in acque controllate da Israele, la linea rossa era chiara. Ora il rischio è troppo grande, può scapparci il morto». È una testimonianza preziosa, perché viene da chi c’era, non da una tastiera.

Celesti aggiunge un pezzo che molti omettono: all’inizio l’azione doveva “smuovere le coscienze” rimanendo in acque internazionali; poi, in navigazione, l’obiettivo è stato spinto verso la rottura del blocco, senza una reale strategia per proteggere la vita dei volontari e dei civili che si vorrebbero aiutare. Per chi fa informazione sul campo, questa non è una sfumatura ideologica: è la differenza fra una dimostrazione mediatica e un potenziale “bagno di sangue”.

Sul tavolo, inoltre, c’erano alternative praticabili. Italia e Vaticano – riferisce la stampa – hanno proposto di sbarcare gli aiuti a Cipro per poi trasferirli a Gaza in sicurezza. Proposta respinta. Israele l’ha letta così: se rifiuti tre volte canali di consegna, non stai facendo “aiuti”, stai cercando lo scontro simbolico a beneficio di Hamas. Anche qui, si può non condividere la valutazione israeliana; ma resta il fatto: l’opzione meno rischiosa c’era ed è stata scartata.

Il punto politico, allora, è semplice. Un governo serio – e quello italiano, su questo dossier, lo è – non può assecondare una missione che vuole deliberatamente mettere barche civili davanti a unità militari. La Marina tutela vite umane, non produce martiri per i social. L’esecutivo ha il dovere di insistere su corridoi umanitari efficaci, coordinati con chi controlla il teatro operativo. È la sola via coerente con il diritto internazionale e con l’interesse nazionale: aiutare davvero i civili palestinesi senza trasformare il Mediterraneo in un palcoscenico per teppismo geopolitico.

C’è anche un tema di onestà intellettuale. Se lo scopo principale – come ammesso da esponenti della Flotilla – è «rompere il blocco navale», allora si tratta di un’azione politica ostile a Israele, non di una classica missione umanitaria. Lo si dica apertamente, si accettino le conseguenze e non si chieda allo Stato italiano di “mettere il cappello” sulla provocazione. Il patriottismo, per noi, significa difendere la vita dei nostri connazionali e la credibilità dell’Italia, non inseguire l’ennesimo rito di piazza travestito da soccorso.

In controluce, la scelta di Celesti è la cartina di tornasole. Quando chi documenta e rischia in prima persona decide di scendere perché «non ero venuto per martirizzarmi senza razionalità», allora la misura del pericolo è superata. E quando la politica di sinistra preferisce il gesto dimostrativo alla protezione dei cittadini italiani, il governo fa bene a ribadire la linea: umanità sì, kamikaze no.

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Leo Valerio Paggi
Leo Valerio Paggi
Leo Valerio Paggi per La Voce del Patriota.

1 COMMENT

  1. Ma se “..all’inizio l’azione doveva smuovere le coscienze rimanendo in acque internazionali”..
    allora tutta la filippica degli aiuti umanitari da consegnare senza alcun intermediario era evidentemente un bluff, una copertura… perlomeno all’inizio…

    Anche invertendo il ragionamento il risultato non cambia…

    Ma siccome li conosciamo i nostri eroi c.d. rivoluzionari con stipendi da migliaia di euro, tutte “chiacchere e distintivo”… li voglio proprio vedere se hanno il coraggio dai andare davvero a forzare il blocco navale…. scommettiamo che per qualche motivo cambiano rotta ?

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