Francia, il nuovo malato d’Europa?

Per anni l’Italia è stata etichettata come la “mina vagante” dell’Europa, con un debito pubblico fuori controllo e ripetuti richiami sul bilancio statale. Tuttavia, negli ultimi mesi la situazione sta cambiando. Il governo attuale ha ricevuto crescenti consensi internazionali per la gestione delle finanze pubbliche, nonostante abbia ereditato una situazione complessa. I governi precedenti, in particolare quelli a guida pentastellata, hanno contribuito a un aumento significativo del debito pubblico, aggravato da misure come il superbonus edilizio, i cui costi continuano a pesare sui conti pubblici. Nonostante ciò, gli indicatori macroeconomici italiani mostrano un miglioramento: il deficit tendenziale per il 2025 è previsto dalla BCE al 3,4% del PIL, consentendo all’Italia di avviarsi verso l’uscita dalla procedura di deficit eccessivo seppur con un debito pubblico ancora al 135,3% del PIL nel 2024 ma con un tendenziale in netto miglioramento. Permangono, tuttavia, debolezze strutturali come l’elevata tassazione, un sistema fiscale complesso e redditi bassi, usati a lungo come leva di competitività in un contesto di produttività stagnante.

Nel frattempo, l’attenzione si è spostata sulla Francia, che sta vivendo una delle crisi più gravi della sua storia recente. Non solo il governo attuale è a rischio caduta, con il presidente Macron che mostra una crescente debolezza politica, ma l’intero sistema economico francese appare in stallo. Nel 2024, il PIL è cresciuto dell’1,1%, in linea con le previsioni, ma per il 2025 si prevede un rallentamento allo 0,9%, significativamente inferiore alla media prevista del 1,2% dell’Eurozona. Questa crescita anemica è aggravata da diverse debolezze strutturali: un’elevata dipendenza dalla spesa pubblica, che rappresenta circa il 55% del PIL, una delle più alte in Europa, una produttività stagnante, con un incremento annuo inferiore all’1% negli ultimi cinque anni e un mercato del lavoro rigido, con un tasso di disoccupazione al 7,4% nel 2025, superiore a quello di Germania (3,5%) e Italia (6,8%). Inoltre, l’inflazione, stimata al 2,2% nel 2025, erode il potere d’acquisto delle famiglie, limitando i consumi privati, che costituiscono circa il 50% del PIL francese. La Francia fatica anche a competere a livello internazionale, con un saldo commerciale in deficit cronico (-70 miliardi di euro nel 2024), penalizzato dalla perdita di quote di mercato in settori chiave come l’automotive e l’aerospaziale.

I costi energetici, pur inferiori a quelli di Italia (143 €/MWh) e Germania (108 €/MWh), sono aumentati significativamente, raggiungendo i 98 €/MWh a gennaio 2025 a causa di problemi nel settore nucleare, che ha ridotto la produzione al 50% del fabbisogno. Le importazioni di elettricità e gas, unite a costi salariali elevati, comprimono i margini delle imprese, aggravando la crisi. Il debito pubblico ha raggiunto il 113,9% del PIL nel primo trimestre del 2025 (3’345,8 miliardi di euro), con un deficit tendenziale al 5,46% del PIL, ben sopra il limite europeo del 3%. Proiezioni non ufficiali indicano che, senza interventi, il debito pubblico potrebbe salire al 120-130% del PIL entro il 2030.

Parallelamente, il debito privato francese (famiglie e imprese non finanziarie) continua a crescere. Nel 2023, era pari al 200% del PIL e per il 2025 si stima un aumento al 205-210% del PIL, equivalente a circa 6’200 miliardi di euro: il debito totale (pubblico + privato) francese potrebbe così raggiungere il 310-320% del PIL entro fine anno, circa 30 punti percentuali in più rispetto all’Italia (292-297% del PIL). A differenza dell’Italia, dove il debito privato è più contenuto (160-165% del PIL, principalmente mutui), il debito francese è in forte espansione, anche qui trainato da mutui immobiliari (circa il 60% del debito delle famiglie) ma con una percentuale maggiore di credito al consumo non garantito e dall’indebitamento delle imprese, che affrontano margini di profitto in calo a causa di costi energetici in aumento e salari elevati. In uno scenario di instabilità politica e crescita economica debole, il debito privato potrebbe raggiungere il 220-230% del PIL entro il 2037, portando il debito totale a circa 350% del PIL.

Sebbene le famiglie francesi dispongano di un elevato livello di risparmio (circa 4’500 miliardi di euro), un ulteriore deterioramento economico potrebbe erodere questi coefficienti patrimoniali, rendendo il debito insostenibile. La situazione ricorda l’Italia del 2011, quando la crisi economica e lo spread sui titoli di Stato alle stelle misero il Paese con “l’acqua alla gola”. In Francia, l’ultimo bilancio in pareggio risale al 1974, e da allora il Paese ha accumulato deficit, finanziati con un prelievo fiscale tra i più alti al mondo (circa il 47% del PIL) caratterizzato da una progressività discutibile e ampie esenzioni che favoriscono i redditi più bassi ma penalizzano i ceti medio-alti.

L’attuale crisi di governo complica ulteriormente le prospettive. La fragile maggioranza parlamentare è stretta tra le critiche della destra, che punta il dito su assistenzialismo e immigrazione, e della sinistra, che propone di aumentare il carico fiscale sui redditi più alti. Quest’ultima misura potrebbe spingere i ceti abbienti a trasferirsi in Paesi fiscalmente più favorevoli, come l’Italia, dove il regime fiscale per i neo-residenti, noto come “tassa Ronaldo”, consente di pagare un’imposta fissa di 200’000 euro annui sui redditi esteri per i nuovi beneficiari a partire da agosto 2024. Questo regime ha attirato, ad esempio, figure come Richard Gnodde, vicepresidente di Goldman Sachs, e Frédéric Arnault, erede del colosso del lusso LVMH e il primo ministro Bayrou ha, così, accusato l’Italia di “dumping fiscale” seppur questa pratica sia diffusa in Europa e i ricchi francesi già da anni cerchino rifugio all’estero per sfuggire al fisco transalpino.

Ora, in questo scenario, secondo l’ex capo economista del FMI, Olivier Blanchard, per stabilizzare il debito pubblico francese servono 150 miliardi di euro tra tagli alla spesa e aumento delle entrate, un importo cinque volte superiore alla manovra “Salva Italia” del governo Monti nel 2011. Nel frattempo, lo spread tra i titoli decennali francesi e italiani si è ridotto, a circa 5 punti base lo scorso agosto ma con una preferenza per i bond italiani, i cui rendimenti, infatti, sono in lento ma continuo calo. Il settimanale Le Point ha sottolineato che “la Francia non può più permettersi di essere l’ultimo passeggero clandestino dell’eurozona”, mentre Paesi come l’Italia hanno già fatto sacrifici, soprattutto sulle pensioni.

Se il deterioramento economico francese dovesse continuare, il Fondo Monetario Internazionale potrebbe essere costretto a intervenire. Un’eventuale crisi in Francia, seconda economia dell’Eurozona, avrebbe conseguenze ben più gravi rispetto a quelle di Grecia o Portogallo, pure con rischi di contagio per l’intera area euro.

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Matteo Gianola
Matteo Gianola
Fin da piccolo amavo scrivere e comunicare quello che pensavo e quello che sapevo (potrei dire anche quello che credevo di sapere) perché solo dal confronto può innescarsi una crescita personale e, anche, collettiva. Dopo la laurea in economia e l’inizio del lavoro in banca ho tentato di seguire quello che amavo, iniziano a scrivere per testate come the Fielder, Quelsi, e l’Informale fino a giungere a In Terris e, oggi, pure qui. Mi occupo principalmente di economia, politica e innovazione digitale, talvolta sconfinando anche nella mia passione, la musica.

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