Da una parte all’altra dell’oceano rimbalza la notizia dell’omicidio perpetrato da due agenti della polizia di Minneapolis ai danni di George Floyd, afroamericano. Sono immagini che si commentano da sole e non hanno minimamente bisogno di essere spiegate né giustificate, perché trovare una giustificazione a quanto accaduto non è possibile.
Non era un assassino, non era uno stupratore, non era un terrorista, non era un fondamentalista socialmente pericoloso: non era, insomma, parte di quelle categorie che abbisognerebbero di una seria riflessione, con buona pace del buonismo che ritiene tutti gli individui “redimibili” e “ rieducabili”, sulla pena di morte.
Ciò che però si è notato in 24 ore di dibattito su questa triste vicenda è che ha riportato in essere querelle vecchie quanto il mondo tra chi fa del colore della pelle un elemento di odio tra gli uomini. Il colore della pelle in sé non ha motivo di essere un elemento dirimente della dignità umana, chi ancora crede in ciò dovrebbe rivedere le proprie convinzioni.
Ciò che differenzia gli esseri umani è il loro bagaglio culturale, valoriale, esperienziale, le convinzioni personali e del gruppo di riferimento, le battaglie che scelgono di combattere, la capacità o meno individuale di empatizzare o meno con chi cammina sulla loro strada terrena.
Ogni essere umano è diverso, e non esiste un individuo uguale ad un altro: la retorica del “siamo tutti uguali”, del “volemose tutti bene”, del “we are one” è la più grande delle stronzate mai inventate dai creatori delle distopie terrene. È profondamente pericolosa e conduce al non saper differenziare gli individui per la loro unicità. Per questo è una retorica tanto cara al mondo comunista.
Ciò, però, su cui non si transige, è che ogni individuo è portatore sano degli stessi diritti inviolabili diritti, che alcuno può pensare di comprimere ingiustamente. Il primo di questi è quello alla vita.
Chi la toglie, con ingiustizia ed arbitrarietà, ad un altro individuo, soprattutto quando il carnefice ha il dovere di proteggere la collettività, per motivi abietti e futili, è un uomo inescusabile e malvagio. E per chi gode nel compiere crimini aberranti è difficile credere che esista una riabilitazione terrena: ciò pone anche – come detto prima – una profonda questione morale sulla pena di morte.
Perchè ciò che differenzia gli uomini è, in prima battuta, l’enorme abisso tra i giusti e gli ingiusti – che è un discorso di animo e non esteriore. E l’ingiusto, quando arreca arbitrariamente del male ad un suo simile, deve sempre pagare il peso del suo crimine.