George Simion ci insegna che un vero patriota è chi sa accettare la sconfitta, ma senza arrendersi

Sono le 21.00. I seggi sono ufficialmente chiusi. Da adesso iniziano i conteggi che decreteranno il prossimo Presidente della Romania.

Nel piazzale direttamente fuori l’imponente edificio del Parlamento ci sono decine e decine di giornalisti pronti a registrare le parole che il leader di AUR sta per rivolgere alla sua Nazione, mostrandosi alle telecamere poco dopo i primi risultati degli exit polls.

Le premesse sono buone (ha un vantaggio di quasi 5 punti percentuali), ma la notte è ancora lunga, e nulla può essere dato per scontato.

George Simion arriva. Si volta verso sua moglie. Le regala un tenero bacio, le stringe le mani, fa un respiro profondo e si volta verso la folla. “Noi siamo la democrazia!”, esordisce.

Prosegue parlando di ciò che conta davvero, il bene del popolo romeno; perché, a prescindere dal risultato, a prevalere dovrà essere quello. Ricorda al pubblico che lo sta ascoltando le elezioni ingiustamente annullate, la dignità strappata. Ricorda come quello romeno sia un Paese ricco, ma che è stato sfruttato e reso povero. Il suo discorso non è molto lungo, è volto solamente a rincuorare coloro che lo sostengono che lui c’è, e ci sarà anche dopo.

Negli occhi ha una luce che lascia intendere quanto lo sforzo fatto finora sia stato intenso, e il volto fa trasparire una certa dose di stanchezza accumulata, sintomo di notti insonni e agitate.
Alla fine del suo discorso si alza un coro, si muovono bandiere per supportarlo, anche se ora i giochi sono chiusi. Alla fine saluta, e guarda con orgoglio ciò che ha di fronte.

La porta si chiude dietro di lui e parte la musica di YMCA, quasi a richiamare un’altra famosissima (e fortunata) campagna elettorale. Sui maxischermi, montati per l’occasione, scorre lo slogan della sua corsa presidenziale: “Respect”. Un concetto semplice, ma estremamente importante, soprattutto in un Paese nel quale il rispetto dei principi fondamentali della democrazia- troppo spesso- manca.

È il nostro momento. Entriamo anche noi dentro al Parlamento, e ci dirigiamo verso la sede del gruppo di AUR al Senato, esattamente come avevamo fatto poco più di dieci giorni fa. Ma questa volta la stanza non è riservata solamente per noi, ma è piena di molti altri giornalisti accorsi da ogni parte di Europa e del mondo per raccontare questa elezione.

Tra di noi si aggirano anche membri dello staff di Simion. Ci scambiamo occhiate di intesa. Sappiamo che la notte non finirà presto, e che se il risultato sarà quello emerso dai sondaggi ci sarà da festeggiare sul serio.           
Sono le 22.00, il clima è ancora positivo. Si chiacchiera, si dà uno sguardo allo schermo che mostra minuto dopo minuto gli aggiornamenti sui voti. Rispetto a come siamo abituati da noi in Italia, qui lo spoglio scorre velocemente. E poco più di un’ora dopo si ha più del 60% dei voti scrutinati e contati.

Passa un’altra mezz’ora. Adesso i risultati iniziano a raccontare una storia diversa rispetto a quella dei precedenti sondaggi. Nicusor Dan appare in testa, di poco, ma in testa. Per ora li separano solo qualche migliaio di voti. Le facce intorno a noi sono ancora sorridenti e distese. “Abbiamo la diaspora”, si vocifera. E oltre un milione e mezzo di voti contano, eccome. C’è ancora fiducia in un epilogo positivo.          
Poi, ad un tratto, le cose iniziano a cambiare. Le facce si fanno più corrucciate, e il rumoroso vociare che si sentiva fino a qualche minuto prima inizia ad affievolirsi. Controlliamo anche su internet. All’estero Nicusor ha guadagnato una grossa fetta della torta. Forse troppa. Iniziamo a contare, a fare ipotesi, a cercare di capire cosa stia accadendo.

Ma la situazione pare oramai chiara. Il sindaco di Bucarest ha superato il 50%. Simion è troppo indietro. Non può recuperare. Anche all’estero i voti presi non sono sufficienti per realizzare il sogno di una Romania conservatrice.

Scocca la mezzanotte. Oramai la partita è chiusa. I romeni hanno espresso la propria preferenza e si sono schierati a sinistra.

Dopo pochi minuti, Simion esce dal suo ufficio. Anche adesso, con un sorriso, sebbene un po’ amaro. Viene accolto da un fragoroso applauso. Annuisce, si gode un po’ del calore della gente che che lo circonda e che ha piena fiducia in lui. “É stato un privilegio essere con voi in questa campagna elettorale. Combatterò con voi tutte le future sfide che il futuro ci metterà davanti. Questa è solo la prima battaglia. Ve lo prometto. Grazie!”

Alza il pugno in alto, in segno di vittoria. E del resto, sebbene i cittadini abbiano scelto il candidato dell’élite europea, quella di stanotte è comunque una vittoria.

È la vittoria di un partito che in una manciata di mesi è passato dal 18% a più del 44%. È la vittoria dei patrioti, che al contrario di altri, sanno accettare una sconfitta. E da patrioti sono pronti a rimettersi subito in gioco per proteggere e tutelare i valori e i principi in cui credono, mai scendendo a compromessi con niente e nessuno, né sacrificando i propri ideali.

George Simion, nonostante l’esito sfavorevole di questa tornata elettorale, esce dunque da questa avventura più forte di prima, e anche più cosciente del fatto che, finalmente, non è solo, perché ha accanto a sé milioni di cittadini che credono in lui e in tutti quei valori che incarna. Questa non è la fine. Ma l’inizio di una nuova fase.

Perché è adesso che la rivoluzione conservatrice entra in un momento decisivo, più intenso, più profondo. Perché i patrioti non si arrendono, ma si preparano, si riorganizzano. Perché è questo che fa chi ama davvero la propria Nazione. Non si arrende. E trasforma la sconfitta in forza. Continuando  a lottare per restituire al popolo l’orgoglio, la dignità, e la libertà che merita.

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