Giorgia Meloni a Washington pone fine al provincialismo italiano

La visita di Giorgia Meloni a Washington, la prima in qualità di Presidente del Consiglio, si è rivelata proficua da tutti i punti di vista. La premier italiana ha avuto un’agenda fitta di incontri e si è potuta confrontare con lo Speaker della Camera dei Rappresentanti, membro del Partito Repubblicano, Kevin Owen McCarthy, il quale ha elogiato la leadership meloniana, dicendosi impressionato dalla caratura e dalle virtù del “Italian Prime Minister”. Poi, naturalmente, vi è stato il faccia a faccia con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ed è pure avvenuto un colloquio, durato più di due ore, con l’ex Segretario di Stato Usa Henry Kissinger. Giorgia Meloni si è detta onorata di poter conoscere da vicino il decano della politica estera e della diplomazia a stelle e strisce.

Del resto, l’alfiere della realpolitik americana, (a volte occorre il dialogo con quelle realtà lontane, politicamente e culturalmente, dall’Occidente pur senza cedere in merito agli interessi delle democrazie), autore dello storico disgelo con la Cina ai tempi di Richard Nixon, è un uomo che non solo l’ha attraversata, ma ha fatto la Storia e dal quale c’è ancora tanto da imparare. Nonostante la sua assai veneranda età, ha ben 100 anni, rimane una mente molto lucida. Durante il summit Meloni-Biden sono stati toccati i principali temi del momento, che coinvolgono inevitabilmente sia l’Europa che gli Stati Uniti. Si è parlato della guerra in Ucraina e dell’appoggio occidentale a Kiev che deve proseguire; della Cina che rappresenta una opportunità non priva però di insidie; infine, dell’Africa tornata ad essere osservata speciale a causa delle migrazioni di massa, sponsorizzate da interessi criminali, e per il riaffacciarsi di tensioni politiche come il golpe in Niger avvenuto pochi giorni fa.

Alla faccia dei gufi, ma anche delle tante civette e cornacchie, l’Italia guidata da Giorgia Meloni si è ritagliata un ruolo importante in Europa e nel mondo, e sta diventando tutto fuorché un Paese isolato e schernito. Anche da Washington la premier italiana non torna, per così dire, con le mani vuote. Oltre alla sottolineatura, condivisa da entrambe le parti, delle ottime relazioni esistenti fra Italia e Stati Uniti, la Casa Bianca appoggia l’impegno di Roma mirato a rilanciare dialogo e collaborazione con il Maghreb anzitutto e il resto dell’Africa, riconoscendo la determinante funzione italiana nel Mediterraneo. L’America vede con favore, fra l’altro, la candidatura di Roma per Expo 2030. La capitale saudita Riad rimane, per ora, la favorita a livello mondiale rispetto alla Città Eterna e all’altra concorrente in lizza, la sudcoreana Busan, ma un endorsement americano a favore dell’Italia può cambiare le carte in tavola. Con il plauso della maggioranza degli italiani e la comprensibile delusione dei suoi detrattori, Giorgia Meloni sta dimostrando di sapersi muovere bene sul fronte diplomatico e della politica estera. Altresì, il Presidente del Consiglio, nel vertice con il presidente americano Biden e in mezzo alle tante questioni calde dell’attualità, ha aggiunto una considerazione molto significativa.

Per la numero uno di Palazzo Chigi le relazioni transatlantiche devono essere poste su un piano superiore rispetto alle colorazioni politiche dei vari governi, di quello americano e degli esecutivi del Vecchio Continente. I premier europei e i presidenti americani sono tutti di passaggio, c’è chi riesce a guidare il proprio Paese a lungo e chi invece si ritrova costretto a fare le valigie anzitempo, ma nelle democrazie tutti i capi di governo devono ad un certo punto cedere lo scettro a qualcun altro, che può benissimo appartenere allo schieramento politico opposto. Si tratta di un normale avvicendamento determinato dagli elettori, consueto nei sistemi democratici, soprattutto in quelli regolati da una chiara alternanza fra due poli o partiti avversari, ma ciò non deve influire sulle alleanze e gli equilibri internazionali come la Nato e la solidarietà euro-americana. L’unità dell’Occidente, oggi quanto mai necessaria di fronte alla brutta strada intrapresa dalla Russia e alle sfide imposte dalla Cina, non può essere messa in discussione, per esempio, se un qualsivoglia primo ministro del nostro continente detesta, umanamente o ideologicamente, il presidente degli Usa di turno, e la stessa cosa deve succedere se è invece l’inquilino del momento della Casa Bianca a sentirsi idealmente distante da questo o quel governo europeo.

Per dire, Giorgia Meloni non ha di sicuro mai tifato da Roma per la vittoria elettorale di Joe Biden e sarebbe stata più felice dinanzi ad una riconferma di Donald Trump, ma i rapporti Italia-Usa vanno oltre all’appartenenza di Biden ai democratici d’oltreoceano e a quel mondo liberal che è evidentemente lontano dalla Storia e dalla identità conservatrice e di destra della nostra premier.

Il Presidente del Consiglio Meloni pone fine ad un certo provincialismo che a volte ha caratterizzato l’Italia nei suoi rapporti con gli Stati Uniti. Le sinistre nostrane in modo particolare, Pd e satelliti, si scoprono atlantiste e interessate alla difesa dei valori e degli interessi occidentali, solo quando lo Studio Ovale di Washington e magari anche Downing Street a Londra sono occupati da leader vicini ai desiderata cosiddetti progressisti e radical-chic o ritenuti tali. Ricordiamo ancora quando i nostri democrats all’amatriciana inseguivano Bill Clinton e Tony Blair per costruire nientemeno che l’Ulivo mondiale salvo poi assistere con silente imbarazzo al liberismo economico del primo, non molto diverso da quello di Ronald Reagan, e all’appoggio dato dal secondo alla guerra in Iraq iniziata da George W. Bush.

Occorre avere un approccio maturo di fronte all’ineludibile legame transatlantico, che non contempla affatto l’obbligo da parte dell’Italia e dell’Europa di dire sempre di sì alle Amministrazioni americane, siano esse democratiche o repubblicane. E sempre Giorgia Meloni ha dimostrato anche questo attraverso, ad esempio, la contrarietà italiana, dichiarata ufficialmente, all’uso delle bombe a grappolo in Ucraina. Anche in merito alla cosiddetta emergenza climatica, tramite la quale ambienti democratici americani, accompagnati da alcune élite europee, vorrebbero imporre una sola visione, il Governo italiano mantiene un pragmatismo distinto dalle posizioni di Joe Biden.

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Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

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