Esattamente un anno fa, Giorgia Meloni conduceva la destra nazionale al più importante tra gli appuntamenti con la storia. L’ultimo passo di un cammino lungo oltre vent’anni coincideva con il primo di un futuro ancora tutto da scrivere, coerentemente con i propri valori e senza curarsi troppo dell’isteria collettiva di avversari disperati per aver perso il potere che avevano posseduto per oltre 10 anni pur non avendolo mai conquistato.
Lo trattavano alla stregua di una proprietà, il potere, come fine ultimo e non come mezzo per ottenere risultati per la Nazione, illudendosi di mantenerlo non in virtù di una proposta per oggi e domani, ma aggrappandosi al fascismo morto e sepolto ottant’anni prima.
D’altra parte, è sufficiente guardare alla storia moderna per constatare come la sinistra necessiti di un nemico da abbattere e dal quale dipendere al tempo stesso, di importanza vitale per creare il bisogno di un “campo largo” o di “un’unione” purchessia mettendo insieme, cioè, forze politiche che, al netto della voglia di spartirsi il potere, nulla hanno a che spartire.
Non un’idea di Nazione, non una visione e nemmeno l’amore per la Terra dei Padri, la Patria: il livore è l’unica benzina che li muove, senza alcuna direzione al di fuori della demolizione di tutto ciò che è difeso dal “nemico” e che, per questo, diventa bersaglio di lotta politica, oppio per un popolo abituato dai suoi cattivi maestri non a combattere per qualcosa, ma contro qualcuno. Sempre e comunque.
Da un anno a questa parte Giorgia Meloni e il governo da lei guidato costituiscono un vero a proprio argine, la garanzia che i valori propri della Civiltà Occidentale non verranno scalfiti, ovvero che le scuole non potranno inculcare ai nostri bambini i folli dettami dell’ideologia gender, che l’istituto della famiglia tradizionale – e, aggiungo, le figure della donna e dell’uomo – come cellula fondante della nostra società sarà difeso, che la nostra libertà individuale non verrà mai più compressa e che il relativismo etico non prenda mai e poi mai il sopravvento sulle tradizioni da cui originano la nostra cultura e la nostra identità.
Ecco, anche in questo siamo agli antipodi della sinistra relativista e obnubilata dai fanatismi woke. La differenza sostanziale sta in ciò che muove il nostro impegno politico, la difesa del patrimonio di valori frutto delle radici giudaico-cristiane di cui l’Occidente intero è figlio: si tratta di una visione complessiva nella quale “tutto si tiene”, nel senso che se agiamo coerentemente con i valori in cui crediamo in qualsiasi azione compiamo, allora il nostro impegno produrrà frutti buoni e duraturi.
Se proiettiamo questo assunto sul modo in cui Giorgia Meloni sta vivendo il suo ruolo di presidente del Consiglio, avremo chiaro davanti a noi il perché di un approccio strutturale e non demagogico su tutte le grandi questioni: dall’immigrazione all’economia, passando per le riforme istituzionali. Lavorare non in funzione del consenso, ma di ciò che è giusto: questo è l’unico modo per non cancellare il futuro ancora prima di scriverlo.
La sfida di governo è solo all’inizio e Giorgia Meloni lo sa bene, si tratta di un cammino lungo e per lei talvolta estenuante: se saremo capaci di starle al fianco, tra 4 anni i nostri figli proveranno naturalmente l’orgoglio di essere Italiani. Facciamo in modo di non deluderli.
Ma la vera sfida è l’economia.
E’ qui che il Governo di Giorgia deve riuscire ad abbattere i parassitismi e rilanciare la produzione di reddito. Ed è la battaglia più dura, perchè richiede di abbattere privilegi consolidati sostenuti dalla spesa pubblica.
Forza Giorgia, e coraggio a tutti noi per un duro lavoro.
Con affetto
Alessandro