Giorno del Ricordo, l’odio rosso non vincerà mai

Ancora sfregi contro esuli e martiri. Ma chi ricorda non lascerà mai indietro i suoi compatrioti

Ricordo è una parola di derivazione latina. Era composta dal prefisso re-, utilizzato per indicare il tornare indietro, l’idea di qualcosa che ritorna, e il lemma cor cordis, il cuore, che i latini pensavano fosse l’organo che ospitasse la memoria. Se oggi, allora, si parla di Giorno della Ricordo, è molto più di un modo per differenziare l’importante commemorazione dalla vicina, per data e per significato, Giornata della Memoria. Con l’istituzione del Giorno del Ricordo con la legge Menia varata dal centrodestra ventuno anni fa, l’idea di fondo è colma di significato: il 10 febbraio, tutte le vittime delle Foibe e gli esuli dalmati e istriani tornano al cuore di noi italiani, vengono metaforicamente accolti dalla loro Patria, che per troppi anni, colpa di divisioni ideologiche e di odio politico, li ha rifiutati, considerandoli cittadini di serie B, indegni di quel ricordo che è l’unico mezzo, oggi, per tenerli ancora in vita.

“Nel Giorno del Ricordo rendiamo omaggio alle vittime delle Foibe e a tutti colore che subirono la tragedia dell’esodo giuliano-dalmata, una pagina dolorosa della nostra storia per troppo tempo dimenticata. Ricordare è un dovere di verità e giustizia, per onorare chi ha sofferto e trasmettere questa memoria alle nuove generazioni. L’Italia non dimentica”, è il messaggio del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Oggi è dunque una giornata importantissima per l’Italia, che vede tornare a sé gli italiani dimenticati e rifiutati, odiati e bistrattati con la sola colpa di riconoscersi sotto quel tricolore che oggi sventoliamo liberamente, ma ottanta anni fa poteva segnarti su una lista di proscrizione. E malgrado conoscessero benissimo quel rischio, malgrado avessero già una pistola puntata contro, malgrado sapevano di andare contro a morte certa o quanto c’è di più simile alla morte (l’umiliazione di dover abbandonare la propria terra per motivi razziali), quegli italiani non rinnegarono mai la loro appartenenza alla Patria. Non lo hanno fatto neppure quando, una volta in Patria, troppi connazionali li rinnegarono, fecero finta di non vederli, li ostacolavano, gettando ad esempio il latte destinato ai neonati esuli sui binari su cui viaggiava il cosiddetto “Treno della vergogna”. Neppure in quel momento esitarono a dichiararsi italiani, perché sapevano bene che l’Italia è un’altra cosa: l’Italia è ricordo e riconoscenza. Dunque, vale a pieno ciò che disse lo scorso anno la premier Giorgia Meloni: “Italiani due volte: per nascita e per scelta”.

Un’ideologia che rende ciechi e, soprattutto, anti-italiani

E se per fortuna oggi sempre più italiani conoscono quelle tragedie, è sopravvissuto anche chi cerca in qualche modo di minimizzare quella tragedia. Troppi ancora gli sfregi ai monumenti e al Ricordo: soltanto nelle scorse ore c’è stata la vandalizzazione della foiba in Basovizza, dove la premier si recò lo scorso anno in visita, con scritte revisioniste in sloveno che recitavano “Triste è nostra”; qualcosa di simile a Roma, dove la targa in memoria delle vittime alla Balduina è stata imbrattata da altri slogan; “Morte ai fascisti” recita anche la scritta comparsa a Giulianova, fuori la sede di Fratelli d’Italia dove dovrà tenersi un evento in ricordo della Foibe; “Fasci merde” hanno invece scritto a Torino; episodio simile a Cagliari; a Roma, infine, è stato annullato un convegno in un liceo a cui avrebbe dovuto partecipare lo stesso Menia, con la preside che ha deciso di cedere alle pressioni dei collettivi di sinistra. Tentano così, con offese e revisionismo, di non far parlare di Foibe, di cancellare quella storia, vogliono uccidere così per la seconda volta le vittime. Ma quei Martiri non si lasciarono intimorire dal piombo comunista e dalla crudeltà profonda centinaia di metri; allo stesso modo, chi porta in alto la fiaccola del loro Ricordo, non si farà intimorire da chi è ancora schiavo di un’ideologia che rende ciechi e, soprattutto, anti-italiani.

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