Giuseppe Conte, lui sì che è esperto di istruzioni dall’estero, più orientali che occidentali

Il così chiamato campo largo di PD e M5S, più alcuni cespugli, dovrà andare ben oltre alla risicata vittoria sarda, avvenuta più per fortuna che per bravura, al fine di riuscire ad interpretare un’alternativa solida a Giorgia Meloni e al centrodestra. Al momento, le lacune sono numerose e pare che non vi sia poi tutta quella intenzione di colmarle al più presto. Addirittura, c’è una malcelata rivalità fra i leader di quelli che dovrebbero essere i due maggiori pilastri del campo largo, la piddina Elly Schlein e il pentastellato Giuseppe Conte. Non si tratta solo della fisiologica tendenza alla differenziazione dettata dalle non lontane elezioni europee nelle quali ogni forza politica, incluse quelle del centrodestra ovviamente, correrà per sé, bensì della gara, intrapresa sia da Conte che da Schlein, ad essere il primo interlocutore e portabandiera delle opposizioni di fronte alla premier Meloni e alla maggioranza di governo. Farsi largo con alcune ambizioni è del tutto legittimo, ma, nella corsa a fare sempre una dichiarazione in più rispetto al o alla contendente, bisogna stare attenti a non scivolare nella banalità e nella stupidità, altrimenti, l’eccessivo presenzialismo diventa un boomerang.

Giuseppe Conte, nel tentativo quotidiano di occupare un poco di più di Elly Schlein le cronache politiche, diventa protagonista di uscite non completamente intelligenti. Parlando a Chieti e riferendosi al viaggio istituzionale di Giorgia Meloni negli Stati Uniti, dove ha incontrato il presidente Joe Biden, e in Canada per un vertice con il primo ministro di Ottawa Justin Trudeau, il leader del M5S ha di fatto dipinto la premier italiana come una stagista che va a ricevere istruzioni e disposizioni presso il proprio capo ufficio, cioè, il numero uno della Casa Bianca Biden. Il Presidente del Consiglio ha fatto visita sia al presidente americano che al capo di governo canadese per confrontarsi in merito ai principali temi mondiali del momento, in primo luogo le due guerre in corso, Ucraina e Medio Oriente, gli attacchi nel Mar Rosso da parte del gruppo terroristico yemenita Houthi e l’immigrazione illegale che attanaglia sia le Americhe che l’Europa. Tutto questo, in occasione anche dell’inizio della presidenza italiana del G7 e in vista del summit dei sette Grandi che si terrà durante il mese di giugno di quest’anno in Puglia.

In qualità di presidente del G7, Giorgia Meloni con chi dovrebbe parlare se non con i leader nordamericani, quelli europei e senza dimenticare, ovvio, i rappresentanti del Giappone? Oltre ai gruppi intergovernativi, come è noto, esistono delle alleanze di natura diversa da quella economica come la NATO, che prevedono la collaborazione continua fra le due sponde dell’Atlantico, e meno male che sussistono tali intese. Rimane sempre preferibile poter lavorare con le pur imperfette democrazie del mondo che dipendere dalla “precisione” delle dittature. Qui, su La Voce del Patriota, lo abbiamo già scritto tempo addietro e lo ribadiamo di nuovo volentieri. Giorgia Meloni, dall’inizio della propria esperienza di governo, ha costantemente dimostrato di saperci fare negli ambiti internazionali e continentali nei quali è inserita l’Italia. La premier di destra, assai sottovalutata da un certo establishment, almeno fino a ottobre del 2022, valorizza l’inevitabile e corretto posizionamento della nostra Nazione in Occidente e in Europa, senza ovviamente scordare il bisogno di riforme che caratterizza l’attuale Unione Europea, all’insegna della totale libertà da complessi di colpa e di inferiorità sia di fronte alle classi dirigenti d’oltreoceano che verso i partner europei.

L’Italia di oggi non è più quel Paese considerato con sufficienza il cui Presidente del Consiglio, forse perché troppo emozionato di vedersi con qualcuno giudicato più potente di lui, non riusciva neppure ad abbottonarsi bene il cappotto nei vertici bilaterali. Ricordate Matteo Renzi a Berlino durante l’incontro con Angela Merkel? Oggi si tratta alla pari, ottenendo molto di più in confronto agli anni nei quali Roma chinava il capo ancor prima di essere redarguita, con amici ed alleati, che peraltro apprezzano il nuovo protagonismo italiano. Per esempio, gli Stati Uniti hanno sempre voluto che l’Italia avesse governi stabili e durevoli, al fine di poter fare affidamento, per un ragionevole lasso di tempo, su un interlocutore autorevole nel Vecchio Continente e nell’area del Mediterraneo. Già Ronald Reagan si lamentava con i vertici italiani della sua epoca a causa dei continui cambi di governo nella Penisola, (erano gli anni degli esecutivi balneari, capaci di durare un’estate, anche se il blocco di potere era sempre il medesimo), perché quando l’allora presidente USA cominciava ad imbastire un dialogo con il primo ministro tricolore di turno, questi si era già dimesso. Viene visto con favore e rispetto il fatto che il Governo Meloni non sia vittima di tensioni interne alla maggioranza che lo sostiene in Parlamento e si trovi nelle condizioni per poter svolgere il proprio mandato sino alla scadenza naturale della legislatura. Tale affidabilità, potenziata dalle evidenti e innate virtù della sottovalutata Giorgia Meloni, permette di portare a casa dei risultati concreti, difficili da contestare persino per una opposizione manichea quale è quella portata avanti da PD e M5S.

Il viaggio negli Stati Uniti del Presidente del Consiglio sarà ricordato a lungo e non solo per il pur importante confronto concernente le priorità del G7, ma anche per l’annuncio, inviato in Italia direttamente dalla premier Meloni tramite un videomessaggio da Washington, del trasferimento nel nostro Paese di Chico Forti, cittadino italiano condannato all’ergastolo per omicidio negli USA e agli arresti dal 2000. La vicenda di quest’uomo è conosciuta da tanto tempo e numerosi governi italiani precedenti all’attuale hanno tentato in svariati modi di sensibilizzare le Autorità americane affinché questo nostro connazionale potesse proseguire la detenzione in Italia con le leggi italiane, ma i risultati concreti non sono mai giunti. Ci è riuscito il Governo Meloni grazie ad un proficuo lavoro diplomatico con il Governo federale statunitense e quello dello Stato della Florida, dove Chico Forti si trova detenuto, guidato dal repubblicano Ron DeSantis. Altro che ordini o istruzioni del vecchio Joe, (Biden), alla giovane Giorgia! A proposito di indicazioni e disposizioni dall’estero, ci pare che Giuseppe Conte sia molto più scafato di Giorgia Meloni.

Non abbiamo dimenticato gli ambigui posizionamenti internazionali dei governi guidati dal presente leader del Movimento 5 Stelle. Conte, da Presidente del Consiglio, fece sì che l’Italia fosse l’unico Paese del G7 a sottoscrivere la Belt and Road Initiative, meglio nota come Via della Seta, che corrisponde ad una iniziativa strategica della Repubblica popolare cinese finalizzata a potenziare i collegamenti commerciali del Dragone con l’Eurasia. Per fortuna, la nostra Nazione è oggi fuori da tale progetto cinese perché il Governo attualmente in carica ne ha bloccato l’avanzamento, altrimenti, si sarebbe verificato, non solo un aumento degli scambi commerciali fra Europa e Cina, ma anche un abbraccio mortale per l’Italia, portatore di una cessione di sovranità circa i porti nazionali tutta a favore di Pechino. È difficile pensare che l’allora premier Conte non conoscesse tutti i rischi derivanti da una simile adesione, perciò, egli scelse con consapevolezza di permettere al regime comunista cinese di agguantare una fetta importante di sovranità italiana. Fu una decisione deliberata, dettata da un preciso DNA politico di Giuseppe Conte, che in effetti, anche ora come oppositore, si ritrova sempre ad avversare qualsiasi linea occidentale, dall’Ucraina a Israele, oppure spinta da pressioni e, appunto, istruzioni impartite dai gerarchi di Xi Jinping. Può darsi che vi fosse e vi sia ancora una spontanea volontà di seguire le disposizioni cinesi perché ad alcuni, senza che ciò venga imposto, piace ubbidire ai più arroganti. Indubbiamente, si verificò qualcosa di dirompente per convincere il premier italiano Conte ad isolarsi in Europa e nel G7.

Ricordiamo ancora i suoi interventi in Parlamento, in qualità di Capo del Governo, nei quali era palese l’equidistanza dell’Italia giallorossa fra gli Stati Uniti d’America e la Cina. Durante il cupo periodo della pandemia da Covid-19, furono adottate delle misure, i lockdown e le chiusure di attività commerciali, che sono tutt’oggi oggetto di dibattito, ma se alcuni, anche non di stretta osservanza giallorossa, accettarono obtorto collo determinate forzature circa la libertà individuale, a patto solo che finisse presto l’incubo del virus, altri, fra questi Conte e il suo ministro della Salute Roberto Speranza, sembravano godere nel comprimere i diritti il più a lungo possibile e nel concedere spiragli di libertà, di movimento e di lavoro, come si fa con le bestie da soma, punite con il bastone e poi consolate con una carota. I due, sulla falsariga del modello cinese, il più autoritario del mondo anche di fronte al Covid, ci avevano preso gusto, speravano che la pandemia non finisse mai e ritenevano che, una volta addormentatosi il virus, non si potesse comunque tornare a tutte le libertà esistenti sino al 2020. L’Italia e il mondo come una immensa Cina. Speranza ha pure scritto qualche libercolo su una, assai inquietante, nuova idea di salute. Sì, sono giunte in Italia alcune istruzioni dall’estero, ma esse sono state redatte dal vecchio Xi, (Jinping), ed inviate all’indirizzo di Giuseppe Conte.

Resta aggiornato

Invalid email address
Promettiamo di non inviarvi spam. È possibile annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.
Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

Leggi anche

Articoli correlati