La riforma della Giustizia andrà avanti senza esitazioni. Lo hanno promesso i più importanti membri della maggioranza e del governo. Su tutti, ovviamente, il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Nessun altro caso può essere frapposto tra queste premesse e la realizzazione del disegno tanto caro al centrodestra, che tra i punti più controversi comprende la separazione delle carriere, il sorteggio per i membri del Consiglio Superiore della Magistratura e la creazione di un nuovo organo da affiancargli per le decisioni disciplinari dei giudici, la cui competenza oggi spetta proprio al Csm. Un modo per evitare la divisione in correnti che dilania la magistratura (che dovrebbe essere terza e imparziale) e per garantire un processo più equo e privo di condizionamenti.
Le leggi le fa il Parlamento
Se fino ad ora il dialogo tra le parti, esecutivo e Parlamento a cui spetta il compito di fare le leggi e le riforme dettate dai cittadini, e la magistratura destinataria del disegno, ciò non è sicuramente da additare a una presunta scelta dell’esecutivo. L’abbandono dell’aula da parte dei magistrati quando stava per intervenire il Guardasigilli (era l’inaugurazione dell’anno giudiziario), è stato forse il gesto più emblematico – quanto più inutile – di una magistratura che, forse, ha dimenticato un fatto importante: i giudici applicano le leggi, non le scrivono né le approvano, diritto e dovere, onere e onore che invece spetta ai diretti rappresentanti del popolo italiano. E se nel programma elettorale della maggioranza che ora governa il Paese compare la riforma della giustizia, non c’è giudice che possa intromettersi. Tantomeno con queste modalità pretestuose.
Meloni auspica una nuova fase di confronto
Tuttalpiù, il dialogo e la cooperazione tra gli organi dello Stato (che adesso – abbiamo chiarito – manca) possono essere un valore aggiunto per la riforma. Anche per questo, i tentativi di proporre ancora una volta il dialogo continuano a essere proposti direttamente dalla premier Meloni, che ieri ha rivolto i suoi auguri al nuovo presidente dell’Associazione nazionale magistrati: “Desidero inviare a nome mio e di tutto il Governo i migliori auguri di buon lavoro al nuovo Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Cesare Parodi, e ai membri della Giunta eletta oggi. Accolgo con favore la richiesta di un incontro col governo che il presidente Parodi ha già avanzato e auspico che, da subito, si possa riprendere un sano confronto sui principali temi che riguardano l’amministrazione della Giustizia nella nostra Nazione, nel rispetto dell’autonomia della politica e della magistratura”.
Un dialogo, allora, è possibile? Certo che è possibile. È possibile però soltanto nel momento in cui nessun muro ideologico venga alzato. Anche perché – quello che alcuni magistrati non hanno ancora capito – il Parlamento ha tutta la forza (riconosciuta dalla Costituzione) e i numeri (sanciti dal voto dei cittadini) per proseguire questo percorso in assenza di cooperazione da parte di certa magistratura. Nel mettere a tacere le opposizioni in Parlamento sul caso Almasri, Nordio si tolse anche qualche sassolino nella scarpa: “Mi ha deluso l’atteggiamento di una certa parte della magistratura che si è permessa di sindacare l’operato del ministero senza aver letto le carte. Cosa che può essere perdonata ai politici ma non a chi per mestiere le carte le dovrebbe leggere. Con questa parte della magistratura, se questo è il loro modo di intervenire in modo sciatto, questo rende il dialogo molto più difficile. Se questo è un sistema per farci credere che le nostre riforme devono essere rallentate – ha concluso il Guardasigilli – andremo avanti fino alla riforma finale”