Ma l’Italia non era sotto censura? Stando alla narrazione della sinistra, dovrebbe essere proprio così: un’intera Nazione tenuta in ostaggio da un’informazione che va in un’unica direzione, che bloccherebbe ogni tentativo di esprimere un pensiero diverso, che arriva nei notiziari di ogni canale per poter proporre all’uditorio una propaganda a senso unico. Ma qualcosa chiaramente non torna, perché già il semplice fatto che quella narrazione tutta sinistra sulla presunta censura continui senza sosta a invadere qualsiasi mezzo di informazione, dalla televisione ai social network, presuppone una certa libertà di espressione e di informazione. E non solo: gli intellettuali, i quali si sentono minacciati in modo costante dalla maggioranza di governo, vittime inconsapevoli del loro stesso “attenti al lupo” che da anni non consente loro di rivolgere lo sguardo altrove e di pensare ad altro che non sia l’antifascismo, fanno liberamente lezioni su quanto sia brutta la nostra Nazione, su quanto sia difficile esprimere la propria opinione qui in Italia. Un controsenso: si lamentano della censura parlando liberamente, e liberamente pronunciano quisquilie e baggianate. Perché, a ben vedere, in Italia non c’è alcun pericolo per l’informazione: la libertà di espressione è garantita, nei mass media così come nella vita di tutti i giorni. E assieme a lei, anche il sacrosanto diritto di dire stupidaggini. Noi ci riserviamo l’altrettanto sacrosanto diritto di criticarle, quelle stupidaggini.
Il pensiero unico di sinistra
Forse la cosa più grave (per chi la prende seriamente) ed esilarante (per chi invece ci intravede qualcosa di tragicomico) è che gli intellettuali di sinistra, un coro che da Torino, dal Salone del Libro, si è levato quasi unanime contro il governo e la sua presunta censura, non vedono, o forse fingono di non vedere, le tante forme di dissenso che in una Nazione censurata, normalmente, non dovrebbero esserci. Ma ancora più grave, o esilarante, è che gli stessi intellettuali non si capacitano del fatto che i pericoli della democrazia giungono proprio da alcune di quelle forme di dissenso, che non hanno altro obiettivo se non quello di prevaricare e mettere a tacere. Proprio come una censura opererebbe. E allora guai a parlare di Israele, guai a concedergli un diritto ad esistere. Guai a dire che il popolo palestinese è vittima, sì ma di Hamas, dei terroristi fondamentalisti che non lasciano libertà. Guai anche solo a pensare qualcosa di diverso da quello che vogliono sentirsi dire, che ci si ritrova decine e decine di manifestanti figli di papà tra i piedi, armati di bastoni, con tanto di kefiah e fantocci di Giorgia Meloni e di Benjamin Netanyahu pronti a essere messi al rogo. A Torino, ieri, la solita contestazione finita in violenza: dalla protesta pro Palestina si staccano alcuni manifestanti, che arrivano ai cancelli d’ingresso del Salone del libro e tentano di forzarli, vogliono entrare, prendono a calci le transenne dell’entrata principale e, immancabilmente, trovano lo scontro con la Polizia. In loro supporto arriva anche Zerocalcare, che esce dal Salone per unirsi alla manifestazione, a sostegno della causa palestinese. Ed è tutto così, quel Salone del libro, un ottimo evento di cultura, di propaganda del bene, della scrittura, ridotto da pochi intellettuali a salotto politico, dove, pur lamentandosi di un presunto pensiero unico di destra, danno largo spazio al pensiero unico di sinistra.