di Massimiliano Giammusso
È sempre più evidente la mancata corrispondenza tra corpo elettorale e governo attuale: niente di più vero, numeri alla mano. D’altronde viviamo in un Paese dove chi governa ha preso i voti dicendo di non voler governare con quell’altro partito con cui invece poi oggi realmente governa. E questo perché, fare una riforma presidenziale o semi presidenziale – così come da sempre richiesto da Giorgia Meloni e da Fratelli d’Itala – in cui chi vince governa e chi perde fa opposizione, toglierebbe di scena tutta una serie di pagliacci che inquinano la scena politica e che pervicacemente non mollano il potere, a prescindere, e in molti casi nonostante, da come si esprime l’elettorato.
Inoltre grazie a questa legge elettorale i deputati vengono eletti anche tra perfetti sconosciuti, specie quelli di qualche partito o movimento trascinati da una non più ripetibile e ormai trascorsa ondata, che sul bagnasciuga dell’ultima spiaggia dell’attualità politica, ha rilasciato la classe dirigente più squinternata della storia repubblicana, ma in generale senza che sia spesso garantita la giusta militanza e radicamento territoriali. L’assenza della preferenza ha radicalmente mutato il dovere di lealtà e coerenza dell’eletto nei confronti dell’elettore: prima erano i cittadini che scrivevano il tuo nome, quelli a cui rendere conto, oggi è il “santo protettore” che ti “elegge”.
Il taglio dei parlamentari, lungi dal rappresentare la panacea di tutti i mali, non garantisce che resteranno i più bravi, ma al massimo i maggiormente “favoriti”, abbandonando drammaticamente al loro destino interi territori alla mancanza di rappresentanza diretta. Il continuo e voluto logoramento degli enti locali, sempre più colpiti dai tagli di risorse economiche e umane, con molti comuni ridotti a dissestate macerie, rende difficile la capacità di risposta dell’ormai unico punto di contatto tra Amministrazione della cosa pubblica e cittadino, aumentando così distanza e sfiducia dei cittadini stessi nei confronti dello Stato. Così come la propagandistica riforma di abolizione del le Province – che di fatto ha lasciato l’Istituzione in piedi con i dipendenti a passeggio senza controllo e indirizzo diretto della classe politica, e indiretto dell’elettorato – conferma il disegno che vuole la spending review fatta col “voto” degli altri. Di contro, siccome gli enti di area vasta invece servono, e su molte tematiche bisogna, per forza di cose, ragionare in termini sovra-comunali, ecco la bella pensata di costituire sempre più Ato, Srr, Partecipate, Consorzi…Questi sì davvero in grado di far lievitare i costi di gestione.
I partiti infine, sono ormai sempre meno efficaci (se non in casi eccezionali e illuminati) nel processo di selezione e formazione di classi dirigenti in grado di interpretare i tempi e governare le dinamiche sociali. La mancata corrispondenza tra governo e corpo elettorale è in realtà oggi il frutto avvelenato di tutti questi processi di allontanamento del cittadino dalla politica in genere, di cui l’attuale governo è purtroppo la conseguenza più radicale. La distanza tra cittadino e classe dirigente è ormai un canyon incolmabile, che provoca all’elettore un sentimento di frustrazione e di impotenza, se non di disgusto, che trova le sue radici nel lucido progetto di delegittimazione del voto popolare. Solo il ritorno della Politica, quella con la P maiuscola, quella dell’impegno generoso, alto e nobile, e riforme dello Stato e delle leggi elettorali in favore della governabilità e della rappresentanza territoriale, possono oggi salvare l’Italia. “Non c’è tirannia peggiore di quella esercitata all’ombra della legge e sotto il calore della giustizia”.