Terry Gene Bollea, al secolo Hulk Hogan, è morto a 71 anni nella sua casa di Clearwater, in Florida. Arresto cardiaco. La notizia è stata riportata da TMZ e The U.S. Sun, ma questa volta non si tratta solo di un necrologio per una leggenda del wrestling. Stavolta se ne va un pezzo d’America. Di quella vera.
Hogan non è mai stato solo un atleta. Era un simbolo. L’incarnazione pop di un’identità nazionale scolpita nei decenni da personaggi come Rocky Balboa, John Wayne o Benjamin Martin. Uomini che combattono, cadono, si rialzano. Che non si vergognano di chi sono, e che rappresentano, con fierezza, la propria nazione.
La sua musica d’ingresso sul ring, Real American di Rick Derringer, non era folklore: era un grido identitario. L’America dei valori, della famiglia, del sacrificio. L’America delle piccole città e delle grandi bandiere, quella che crede ancora nel significato della parola «patria».
Hogan ha rappresentato questa America fino all’ultimo giorno. Ha resistito anche quando tutto attorno a lui si piegava. Mentre il devastante quadriennio di Joe Biden ricopriva città e istituzioni di inquietanti bandiere ideologiche, mentre il patriottismo veniva ridicolizzato e la famiglia tradizionale demonizzata, Hogan non ha mai arretrato di un centimetro. Con la sua voce roca, i suoi gesti iconici, la sua presenza, ha continuato a indicare la strada: quella dell’orgoglio nazionale, della libertà, dell’identità.
Ecco, Hulk anche durante quel periodo ha continuato a rappresentare l’America vera, profonda, quella in cui è cresciuto JD Vance, quella incarnata da Donald Trump, quella cantata da Kids Rock, quella vissuta dalla stragrande maggioranza degli americani di ogni fede e colore che ha una sola bandiera dal pride: quella a stelle e strisce.
Durante la storica campagna elettorale dell’anno scorso, non si è limitato a sostenere Trump: ha combattuto. Ha partecipato ai comizi più importanti. E ha lasciato un’impronta indelebile durante la Convention repubblicana di Milwaukee, a pochi giorni dal tentato assassinio di Trump. Con la sua bandana rossa e un monologo che resterà negli annali, disse: «Hanno sparato al mio eroe. Hanno provato a uccidere il prossimo presidente degli Stati Uniti. Ma quando è troppo è troppo!». Quel momento ha rappresentato il cuore pulsante di una campagna elettorale storica.
Poi, ancora, lo si è visto al Madison Square Garden in ottobre, sventolare la bandiera americana e indossare la maglia Trump-Vance. «Questa è una vera battaglia. Andate a votare!», ha tuonato. Lo ha fatto con lo stile che lo ha reso leggenda: diretto, viscerale, senza fronzoli.
Donald Trump stesso ha raccontato che avrebbe voluto affidargli il ruolo di capo del Consiglio Presidenziale sulla Forma Fisica. Non per folklore, ma per coerenza. Perché Hogan era il corpo e lo spirito dell’America forte.
Immagino, i sorrisini dei radical chic. Quelli che disprezzano tutto ciò che è popolare. Quelli che se voti a destra – o semplicemente non voti per loro – è perché «sei meno istruito», quelli che hanno sostituito la bandiera nazionale con quella arcobaleno, quella palestinese, qualsiasi cosa fuorché la propria. Perché odiano l’identità. Qualsiasi identità. Perfino quella biologica.
Hogan per loro era tutto ciò che non si può controllare: popolare, virile, patriottico. In una parola: normale. E quindi pericoloso. Un eroe del popolo, dunque una minaccia.
In Italia tutto questo è difficile da comprendere. Qui il patriottismo è stato annichilito, ridotto a tifo calcistico. Nel dopoguerra la sinistra, con la complicità del pentapartito, ha delegittimato qualsiasi espressione di amore per la nazione, etichettandolo come «fascismo». Così, l’unico momento in cui gli italiani si riscoprivano tali era quando segnavano Rossi, Baggio o Totti.
L’opposto dell’America cinematografica ma comunque “vera” rappresentata dagli Hogan, dai Rocky Balboa, dai John Wayne, dai Ricky Cunningham e dalle bandiere a stelle e strisce opposte fieramente ovunque, 365 giorni all’anno, indipendentemente dalla fede politica. Una forza enorme che ha sempre unito l’America, fino allo sciagurato avvento dell’ideologia woke e, con essa, della cancel culture, degli inginocchiamenti, del razzismo al contrario e del gender. L’opposto della forza semplice, diretta e fiera che ha reso grande l’Occidente.
Hulk Hogan è morto, ma la Hulkmania vivrà in eterno. Perché ha avuto il coraggio di non inginocchiarsi.