I cattivi maestri sopravvivono nel 2024

Gli anni Settanta e parte degli Ottanta furono un periodo complicato per l’Italia. Gli estremismi ideologici e politici abbandonarono le piazze della contestazione studentesca del Sessantotto per costituirsi in bande armate terroristiche. Certo, non tutti quei giovani che scendevano in strada a protestare, scelsero di imboccare la via del terrorismo, ma una parte di loro, più fanatica e radicalizzata, lasciò cadere gli striscioni delle manifestazioni per impugnare la P38. Nacquero diversi gruppi e il più importante, e sanguinario, è stato quello delle Brigate Rosse, che ancora oggi fa venire in mente un passato funesto e violento, costellato di tante vittime, da Aldo Moro ad un numero esorbitante di magistrati, giornalisti, esponenti politici, di intimidazioni come le cosiddette gambizzazioni delle quali cadde vittima anche Indro Montanelli, di rapine di autofinanziamento presso le banche, alcune delle quali conclusesi con la morte delle guardie giurate in servizio presso le filiali prese di mira. Non mancarono commistioni con la criminalità comune oppure organizzata, anch’essa dilagante in quegli anni, e scontri con gli extraparlamentari opposti, i neofascisti, perché, oltre ai rossi, c’erano anche i neri. Le grandi città italiane non erano luoghi tranquilli e sicuri in quell’epoca, e non erano granché differenti da una qualsivoglia città latinoamericana di oggi in preda ai conflitti fra bande rivali di narcotrafficanti. Il terrorismo rosso, delle BR, ma anche di altre entità come i Nuclei Armati Proletari, Prima Linea, i Proletari Armati per il Comunismo, e potremmo citarne ulteriori, subiva ufficialmente la condanna dell’allora Partito Comunista Italiano, insieme al biasimo pure di qualche extraparlamentare collocato a sinistra del PCI, che, nonostante il proprio radicalismo ideologico, diceva di non ammettere il ricorso alle armi.

Il compromesso storico, ovvero, il tentativo di avvicinamento fra la Democrazia Cristiana e il PCI, finì teoricamente con la morte di uno dei suoi due promotori, Aldo Moro, assassinato dalle Brigate Rosse, (l’altro era il segretario comunista Enrico Berlinguer), ma nella pratica, dopo l’omicidio dello statista democristiano, sorse una forma di potere consociativo fra DC e PCI, non certificato alla luce del sole mediante la sottoscrizione di un accordo politico ufficiale, ma sottinteso e comunque fattuale. La Democrazia Cristiana si garantiva l’inamovibilità al governo del Paese, durata in effetti sino a Tangentopoli, e il Partito Comunista penetrava con i suoi uomini e i supporter collaterali nelle scuole, nelle Università, nella cultura e in magistratura. Berlinguer fu un leader senza dubbio carismatico, (veniva rispettato persino dall’uomo politico più distante da lui di quegli anni, cioè, Giorgio Almirante, che non esitò a presenziare presso la camera ardente del segretario comunista, scomparso prematuramente), ma il PCI e tutto un mondo che ruotava attorno alla storica sede di Via delle Botteghe Oscure, dimostrarono spesso doppiezza sia nella presa di distanza dall’URSS e dai regimi comunisti dell’Est europeo, che nella ferma condanna verso le gesta dei terroristi rossi. Enrico Berlinguer, non ne dubitiamo, poteva essere un sincero democratico e detestare la politica svolta con le pistole semiautomatiche, ma elementi del sottobosco comunista, iscritti al PCI o affiliati a gruppi extraparlamentari non armati e legali, infilatisi nello Stato, oltre a non mettere mai in dubbio i “paradisi” del blocco sovietico, arrivavano a giustificare di fatto le azioni violente delle Brigate Rosse e di altri nuclei di estrema sinistra.

Comparvero così i “compagni che sbagliano” e i “cattivi maestri”, i quali, da posizioni cariche di responsabilità nel settore dell’Istruzione e in quello culturale, non si sporcavano certo le mani con sequestri, agguati e rapine, ma mostravano una pelosa comprensione per chi commetteva tali crimini pur cercando di fingere di stigmatizzare la lotta armata. Cercavano di apparire come filo-BR nel merito e non nel metodo, ma, quando si ha l’onere di spiegare il mondo a dei ragazzi o giovani universitari e si ha il coraggio di concedere delle attenuanti a coloro i quali uccidono senza troppe difficoltà e rimorsi, si diventa complici degli assassini e i danni inferti alle nuove generazioni possono essere molto gravi. Toni Negri, scomparso da pochi mesi e cofondatore di Potere Operaio e Autonomia Operaia, era anche un docente universitario. Quindi, il tweet commemorativo dedicato alla ex BR Barbara Balzerani, deceduta pochi giorni orsono, da parte della professoressa di filosofia teoretica presso la Sapienza di Roma Donatella Di Cesare, rappresenta una scoria del passato sopra descritto che persiste nel 2024. Ancora oggi, evidentemente, abbiamo a che fare con alcuni cattivi maestri che sopravvivono nelle Università. Il tweet della docente ha scatenato una marea di polemiche e la Sapienza intende adottare provvedimenti nei confronti della prof nostalgica delle Brigate Rosse. Quest’ultima ha avuto l’ardire di dirsi sorpresa della indignazione provocata dal suo tweet, ma, chissà perché, ha provveduto quasi subito alla cancellazione del post, ritenendo forse di averla fatta un po’ fuori dal vaso. Nel messaggio della professoressa Di Cesare non c’era soltanto il rammarico o il rispetto per una persona venuta a mancare, ma si affermava una profonda comunione di idee con il terrorismo e la lotta armata contro lo Stato. La rivoluzione di Barbara Balzerani, questa la sostanza del messaggio della prof, era la stessa alla quale ambiva la docente della Sapienza. L’ex brigatista appena scomparsa partecipò a quasi tutti gli omicidi delle BR e al sequestro di Aldo Moro. Fu arrestata solo nel 1985, fra gli ultimi terroristi rossi ancora in libertà, ed era tutto fuorché una idealista romantica. Come negli anni di piombo si notava la differenza tra la doppiezza del PCI e la trasparenza invece del Movimento Sociale Italiano, che, con il suo segretario Giorgio Almirante, considerava i gruppi armati neofascisti come i peggiori nemici della destra, oggi si può registrare un’ampia disapprovazione verso la professoressa Di Cesare, che non è tuttavia unanime. Oltre allo sdegno manifestato da tutto il centrodestra e dal rettore della Sapienza, anche alcuni esponenti del Partito Democratico hanno esternato la loro riprovazione, ma rompe i timpani il silenzio assordante di Elly Schlein, che si scandalizza a senso unico. Inorridisce per i saluti romani di Acca Larentia, ma ignora i nostalgici rossi delle P38.

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Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

2 Commenti

  1. Ho attraversato tutti quegli anni, essendo nato nel ’50, e condivido la breve ma lucida analisi che hai svolto.
    Ma vorrei senza giri di parole esprimere quello che risulta da tanti fatti, dichiarazioni, ammiccamenti politici.
    E’ fuori di dubbio che in Italia continui ed esistere, ed è sempre esistita, una significativa quota di italiani che desidera la dittatura, ritenendola un sistema di governo migliore della democrazia, peggio che mai se liberale.
    Il desiderio di dittatura si traveste in diversi atteggiamenti, tutti unificati dall’idea di un “lider maximo” che governi con la forza, appoggiato dal consenso di solerti militanti e del popolo bue.
    E’ la “dittatura del proletariato” cui vagheggia la Di Cesare (non so con quale appellativo qualificarla: professoressa? Perchè ha vinto un concorso? E cosa mi insegna? Signora? Il termine Signore in italiano ha una qualificazione di stima e rispettabilità che qui non si vede…), è lo Stato che crea miseria e poi elargisce redditi e pasti gratis alla Maduro, è il rigore morale della Russia ortodossa (con un Patriarca milardario e puttaniere), è il discredito dell’amministrazione pubblica, marciume e corruttela, e così via.
    Ma alla fine è l’incapacità di assumersi le proprie responsabilità economiche, sociali e civili sognando di delegare tale responsabilità a un dittatore. Ha da venì baffone!
    Dimenticando che tutti i baffoni della storia hanno fottuto il popolo ed arricchito se stessi e la propria clientela.

    Non è la maggioranza, ma è abbastanza perchè politicanti senza scrupolo la corteggino per avere una base elettorale sicura.

    Ne verremo mai fuori?

    Forza Giorgia, e forza a quelle persone ed a quegli elettori che in questo Governo cercano di rendere onore alla politica, anche in mezzo al disastro al quale è stata condotta l’Italia.

    Con affetto

    Alessandro

    • Hai ragione, caro Alessandro. Oltre ai comunisti e agli ideologizzati penetrati nello Stato italiano, che hanno sempre sperato che le BR vincessero la loro guerra contro la democrazia, ci sono stati e ci sono alcuni nostri connazionali che hanno sognato e sognano tuttora l’uomo forte che risolve tutto. C’è gente che, nonostante Navalny, l’Ucraina e molto altro ancora, continua a stravedere per Putin. La deresponsabilizzazione di chi preferisce gli autoritarismi alle democrazie, specie se liberali, dove le opportunità sono molte, ma occorre rimboccarsi le maniche, è stata alimentata sì dagli estremismi del Novecento, il comunismo in primis, ma anche dagli assistenzialismi pelosi che hanno fornito l’illusione di uno Stato-mamma che pensa a tutto, a costo zero poi. Pure la DC del compromesso storico, tu la ricorderai meglio di me, (io sono del ’75), che elargiva allegramente denaro pubblico per mantenere in piedi il suo potere, ebbe numerose colpe in questo senso, oltre al PCI e alla Trimurti sindacale. In epoca moderna, abbiamo avuto invece il Movimento 5 Stelle con la follia del reddito di cittadinanza e dei bonus edilizi.
      Un forte abbraccio, Roberto.

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