L’accordo sui dazi USA al 15% applicati alle importazioni europee, firmato da Donald Trump e dalla presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen in Scozia, può ancora andare incontro a cambiamenti e migliorie, e bisogna continuare a cercare tutte le vie possibili per creare condizioni più performanti di quelle stabilite nel Regno Unito, come ha sottolineato la premier Giorgia Meloni.
Per adesso, si tratta di un compromesso in cui viene dimezzata la richiesta iniziale americana dei dazi al 30% sui prodotti europei, però non si scende al 10 per cento, che sarebbe stato un livello più sostenibile per l’Europa e non si prende in considerazione la strada ideale dei dazi zero fra le due sponde dell’Atlantico e della istituzione di un’area di libero commercio USA-UE dove gli europei facciano investimenti negli Stati Uniti e gli americani facciano altrettanto nel Vecchio Continente.
In Scozia si è preferito imboccare, forse solo in maniera temporanea, una via di mezzo nella quale nessuno perde o vince davvero. E’ doveroso non precludersi l’opportunità di andare oltre, se si può, a quanto è stato sottoscritto dal presidente Trump e da Ursula von der Leyen, ma la quadra trovata finora ha quantomeno l’importante utilità di scongiurare una guerra commerciale fra America ed Europa, e ciò non è una cosa di poco conto. A sentire però le sinistre italiane e le forze di opposizione, da Alleanza Verdi e Sinistra a Renzi e Calenda, sembrerebbe che l’unica ad essere sconfitta su tutti i fronti ed umiliata dalla presunta prepotenza trumpiana sia l’Europa. L’UE ha ceduto su qualcosa, ma anche la Casa Bianca si è, per così dire, accontentata di dazi al 15%, visto che prima veniva richiesto il 30, e fare finta di non accorgersi di questo, denota superficialità o malafede. In ogni caso, ci mancherebbe altro, è legittimo avere riserve in merito all’intesa scozzese, ma fa ridere, o piangere, che i limiti dell’accordo Donald-Ursula vengano imputati a Giorgia Meloni e al Governo italiano. Eppure, così hanno fatto e stanno facendo le sinistre, le quali accusano la premier di essere stata troppo morbida con Trump e di avere provocato la capitolazione di Bruxelles.
Comprendiamo che a sinistra manchino argomenti seri per attaccare il Governo Meloni, ma c’è un limite a tutto, anche alla faccia tosta che pure caratterizza i leader di PD, M5S, AVS e centrini vari. In Scozia, a negoziare con Donald Trump, non è andata la premier Meloni, bensì un’altra donna europea, la presidente della Commissione in rappresentanza di tutta la Unione Europea, e in coerenza, è bene aggiungere, con quanto predicato sempre da Elly Schlein, la quale ha più volte messo in guardia il Presidente del Consiglio dal provare a trattare in solitudine con gli USA perché materie come dazi e commercio internazionale devono essere affrontate esclusivamente dalle Istituzioni comunitarie.
Mai come in questo periodo storico la sinistra è stata così soggiogata da ridicolaggine, sfacciataggine e smemoratezza. Per fortuna che esistiamo noi de La Voce del Patriota, dotati ancora di buona memoria la quale ci consente di ricordare ai distratti della opposizione che l’esecutivo continentale di Ursula si regga con i voti del Partito Democratico e non con quelli di Fratelli d’Italia e dei Conservatori e Riformisti di ECR, quindi, se il patto Donald-Ursula non piace, si provveda a citofonare a Bruxelles e non a Palazzo Chigi.
Non soffrendo di amnesie, ricordiamo altresì come l’America del primo mandato presidenziale di Donald Trump impose all’Europa dazi del 25% riguardanti alcuni prodotti destinati al mercato americano. Era l’ottobre del 2019 e l’Italia fu colpita nei propri formaggi, vini, liquori, succhi di frutta, agrumi, salumi esportati negli States. Allora, la Penisola era governata da Giuseppe Conte, al suo secondo esecutivo, e dall’allegra brigata giallorossa comprendente anche il PD, e né il premier, né altri esponenti di quella funesta compagine governativa si permisero di denunciare Trump per i danni inflitti all’export tricolore. Non provarono neppure a negoziare e, guarda un po’, l’attuale barricadiero Conte affermava di voler evitare anzitutto una guerra commerciale con gli Stati Uniti. Lui era già contento di essere chiamato affettuosamente “Giuseppi” dal presidente Trump, anche se faticava a lusingare un padrone solo visto che con una mano accarezzava l’America e con l’altra blandiva la Cina comunista.
Tacciano, i vari Renzi, Conte e piddini d’ogni fatta, invece di blaterare di sudditanze globali di Giorgia Meloni, perché non abbiamo dimenticato affatto i loro servilismi verso l’asse franco-tedesco, le burocrazie europee e la Cina comunista di Xi Jinping. Matteo Renzi, che oggi dà improbabili lezioni alla premier Meloni, in un incontro con l’allora Cancelliera tedesca Angela Merkel, si mostrò così emozionato ed insicuro da non riuscire nemmeno ad abbottonarsi bene il cappotto, facendo la figura del pisquano.