I medici a gettone e la crisi del Ssn: il Governo Meloni ha posto un freno al fenomeno

Le azioni dell'esecutivo per valorizzare la professionalità nella sanità italiana

Lo scorso 5 maggio l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ufficialmente dichiarato la fine dell’emergenza sanitaria.

Una data storica, che pone formalmente fine ad un periodo di sofferenza e incertezza per l’intera popolazione mondiale. Un periodo, quello del Covid, in cui le strutture sanitarie sono state messe fortemente sotto pressione, e in un paese come l’Italia in cui la sanità già prima del 2020 viveva un momento difficile, la pandemia non ha di certo contribuito a migliorarne le condizioni.
In particolar modo, durante l’era pandemica e post-pandemica, si è acuito il cosiddetto fenomeno dei “medici a gettone”, ovvero quei medici che non operano nel SSN, ma che generalmente sono iscritti a delle cooperative che fanno da intermediarie fra le aziende ospedaliere e i professionisti. Questa tipologia di medici non lavora in maniera continuativa, ma, appunto, si basa sulla chiamata all’occorrenza, soprattutto in situazioni di emergenza.

Proprio per questo motivo, sebbene l’esternalizzazione del lavoro medico era stata decretata illegale nel 2018, durante la pandemia era tornata ad essere legale, facendo sì che il fenomeno dei “medici a gettone” prendesse il sopravvento.

Ma anche oggi, sebbene l’emergenza Covid sia terminata, tale fenomeno continua ad interessare pesantemente il nostro Sistema Sanitario, coinvolgendo una buona parte degli ospedali del territorio nazionale.

Il fenomeno dei medici a gettone indebolisce il SSN, poiché, come riportano anche dati ufficiali, la maggior parte dei medici preferisce dedicarsi a questa carriera abbandonando il loro posto in ospedale. E la motivazione è molto semplice: il plus guadagno che tale sistema offre ai professionisti, i quali con meno ore di lavoro e assumendosi meno responsabilità, guadagnano molto di più. Su un campione di 1.000 medici, il 37,6% dichiara di essere pronto a dimettersi da dipendente del Servizio sanitario nazionale per lavorare con una cooperativa (fonte: Federazione Cimo Fesmed).

Il motivo alla base di questo fenomeno dilagante risiede, oltre che nel maggior guadagno, anche in una flessibilità del lavoro, impossibile per i dipendenti all’interno delle strutture ospedaliere. È dunque una rappresentazione del disagio che i medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale sperimentano sempre di più, vedendo nel ricorso alle cooperative l’unica ancora di salvezza per una vita più sostenibile sotto tutti i punti di vista.

Questo fenomeno presenta pesanti criticità per il nostro sistema sanitario, già messo alla prova sotto molti punti di vista. E la corsa dei medici verso le cooperative non fa che svalutare e sfibrare la sanità italiana.
Innanzitutto, il fatto che molti medici decidano di aderire alle cooperative piuttosto che puntare all’assunzione nelle aziende ospedaliere (nell’ottica di guadagnare di più, lavorando meno e in maniera meno rigida) acuisce ulteriormente la carenza di personale che da tempo affligge tutte le strutture sanitarie.
Inoltre, i medici a gettone non possono garantire una continuità del loro operato, essendo per l’appunto “su chiamata”, il che rende difficile prendersi cura di un paziente, che in questo modo viene costantemente e continuamente sottoposte a diagnosi e terapie sempre diverse, con conseguenze spesso drammatiche, non solo per il malato, ma anche per l’azienda ospedaliera, che molte volte deve sostenere costi molto alti per controlli che in diversi casi possono risultare inutili. Ma, appunto, non essendo i medici a chiamata dipendenti diretti dell’azienda ospedaliera, non se ne preoccupano e quindi ricorrono alla prescrizione di analisi, tac e quant’altro anche quando ciò sarebbe evitabile.

Infine, il lato che più desta attenzione e preoccupazione, è quello relativo alla professionalità di tali figure. Perché le cooperative valutano i medici e li ritengono più o meno idonei ad un ruolo, ma non si capisce su quali basi e con quali criteri ne abbiano la competenza. Oltre a ciò, queste figure sono praticamente senza controllo anche sotto il punto di vista della gestione del lavoro. Il che da un lato può apparire positivo per il singolo lavoratore, ma dall’altro comporta la facoltà di poter lavorare anche per decine di ore consecutive senza riposo. Tutto questo implica un grande pericolo per l’intera collettività, che rischia di subire irrimediabili conseguenze per il semplice fatto che un ruolo così delicato viene ricoperto da persone spesso non adatte o comunque non adeguatamente organizzate.

La salute dei cittadini non può essere sacrificata né mercificata. Questo governo vuole salvaguardare i pazienti e i medici che se ne prendono cura, mettendosi a disposizione ogni giorno per offrire loro la migliore assistenza possibile. Per valorizzare e sostenere la loro professionalità si è intervenuti con il decreto energia dello scorso 28 marzo, che disciplina in modo rigoroso il ricorso ai medici a gettone. Con tale misura, si potrà fare ricorso ai gettonisti per un periodo massimo di 12 mesi, senza alcuna possibilità di proroga.

In questo modo, i medici a chiamata saranno realmente utili in situazioni di necessità e urgenza e i medici, soprattutto i più giovani, saranno incentivati ad inserirsi nel SSN, che ha bisogno di nuove risorse, che siano competenti e che oltre al profitto intendano davvero svolgere la loro professione come una vocazione, “consapevoli dell’importanza e della solennità dell’atto che compiono e dell’impegno che assumono”.

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