Giorgia Meloni ha nuovamente smascherato la retorica della sinistra che, di fronte alla semplice lettura di alcuni passaggi del Manifesto di Ventotene, è letteralmente andata in tilt. Non appena le contraddizioni del loro dogma vengono esposte alla luce del sole, i progressisti impazziscono, rivelando così chi sono i veri nostalgici: gli ultimi difensori di quello stampo ideologico – il socialismo – che ha generato tutti gli “ismi” distruttivi del secolo scorso.
Nel delirio della sinistra eurofila, il Manifesto di Ventotene viene elevato a sacro testo dell’integrazione europea, omettendo volutamente che esso si fonda su un’idea tecnocratica e dirigista, che svuota le nazioni e riduce i popoli a semplici esecutori della volontà di un’élite illuminata. Redatto nel 1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, è il manifesto di una sinistra che rifiuta l’identità nazionale, le tradizioni e il concetto stesso di comunità, sostituendoli con un governo sovranazionale distante dai cittadini e immune alla volontà popolare.
Affermando che «questa non è la nostra Europa», Giorgia Meloni ha espresso un concetto lapalissiano per chiunque si riconosca nei valori cardine della Civiltà Occidentale.
Il Codice di Camaldoli, nacque nel 1943 come risposta chiara e inequivocabile a queste derive. Frutto del lavoro di intellettuali cattolici, il Codice non si rifugia in utopie accademiche o in fantasie federaliste, ma afferma una verità inossidabile: la società si fonda sulla centralità della persona, sulla famiglia e sulla comunità nazionale. È l’antidoto al pensiero elitista del Manifesto di Ventotene, perché si oppone alla disumanizzazione della politica e all’idea di un’Europa amministrata da burocrati scollegati dal popolo.
Quando Giorgia Meloni difende l’identità nazionale e i valori che hanno reso grande l’Italia, non sta facendo un discorso nostalgico: sta riaffermando i principi fondamentali di una civiltà che la sinistra ha cercato di cancellare.
«La società non è una semplice somma di individui», recita il Codice di Camaldoli, «ma l’unione organica di uomini, famiglie e gruppi» orientata al bene comune. La sinistra odierna, con il suo cieco entusiasmo per il Manifesto di Ventotene, si dimostra ancora una volta la vera forza reazionaria, attaccata a un’ideologia superata, quella che ha seminato miseria e fallimenti ovunque sia stata applicata.
Il Codice di Camaldoli, con il suo richiamo alla giustizia sociale illuminata dai principi cristiani, offre una risposta chiara anche alle sfide economiche e sociali del nostro tempo: parla di lavoro come dignità, di famiglia come nucleo fondante, di proprietà privata come diritto naturale ma con una funzione sociale.
Sono esattamente i temi che il Presidente Meloni porta avanti con forza: tutela dei lavoratori, sostegno alle famiglie, lotta contro le disuguaglianze ingiuste. E lo fa senza cedere a tentazioni stataliste o a visioni utopiche, proprio come il Codice di Camaldoli, che invita lo Stato a intervenire solo per garantire il bene comune, mai per soffocare la libertà dei singoli o delle comunità intermedie.
Mentre il Manifesto di Ventotene punta a un’Europa gestita da élite lontane, il Codice di Camaldoli ci ricorda che la politica deve partire dal basso, dalla realtà viva delle persone e dei loro bisogni. Giorgia Meloni sembra averlo compreso alla perfezione, con il suo richiamo a un’Italia che non si piega ai diktat di Bruxelles, ma che afferma con orgoglio la propria sovranità culturale e popolare.
È questa la differenza fondamentale tra noi conservatori e la sinistra progressista: loro vogliono abbattere confini, identità e valori, noi li difendiamo con orgoglio e determinazione.
Questa visione è stata recentemente rafforzata dalle parole del vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance, che lo scorso 14 febbraio ha parlato davanti ai leader europei mettendo in guardia dai pericoli di un’Europa dominata da tecnocrazie scollegate dalla volontà popolare. Nel suo intervento, Vance ha criticato duramente l’Europa per aver abbandonato i suoi valori fondamentali, sottolineando come la libertà di espressione sia in ritirata e come le élite europee abbiano perso il contatto con le preoccupazioni dei cittadini, specialmente riguardo alla migrazione di massa. Ha affermato, centrando esattamente il punto, che «la minaccia più grande per l’Europa non è esterna, ma interna: è la perdita del senso di sé, la paura di difendere la propria cultura e le proprie radici».
Parole che rispecchiano la nostra convinzione che una società sana debba basarsi su valori condivisi e su una identità nazionale. La denuncia di una democrazia in crisi, dove le voci dissenzienti sono messe a tacere e le preoccupazioni legittime dei cittadini vengono ignorate, riflette le stesse sfide che il Codice di Camaldoli affrontava nel suo tempo.
Quello di Giorgia Meloni è un richiamo potente a riscoprire e difendere quei principi che costituiscono le fondamenta della nostra civiltà. Noi conservatori sappiamo da che parte stare. E proprio come Giorgia, non intendiamo arretrare di un solo passo.
Difenderemo la nostra identità, la nostra cultura e la nostra libertà contro chiunque tenti di cancellarle. Perché la storia insegna, e chi non la comprende è destinato a ripetere gli errori di un passato del quale la sinistra non riesce a liberarsi. Probabilmente perché non vuole.