Il coraggio dei patrioti di fronte al nuovo totalitarismo woke

Non abbassiamo la guardia contro woke, gender, cancel culture e cattocomunisti

Dopo il grande nonché meritato successo di Giorgia Meloni nei consessi internazionali, sulla stampa estera, ma anche al Meeting di Rimini, organizzato da Comunione e Liberazione ed animato dagli stand di altre realtà impegnate (tra cui Alleanza Cattolica, Indire, eccetera), il global woke militante dei sostenitori di Greta Thunberg e Carola Rackete ha i nervi sempre più tesi.

Quel woke, pertanto, organizza e riorganizza le proprie mosse, non “soltanto per scopi umanitari”, come vorrebbe la narrativa mainstream, ma per tentare qua e là di destabilizzare o infastidire i governi neoconservatori. Questi, senza tentennamenti valoriali, non si arrendono alle omologanti fiabe storte raccontate dai centri sociali pro-Pal, dai collettivi pro-gender, o dagli attivisti dell’hard green (o porno-green) ideologico che, in nome di una distopica decrescita felice, vorrebbero far crescere determinate entità mercatorie, a discapito di quelle tradizionali avute in odio.

Nel sottobosco delle odierne sinistre si muove tutto un universo antitetico alla forza antropologica dell’Occidente libero, un universo allergico alle radici giudaico-cristiane delle comunità, alle essenze della natura, alle necessità quotidiane degli individui e delle famiglie d’Italia e d’Europa. Quello stesso universo culturale viene strumentalizzato, spesso in modo occulto o subliminale, da alcune aree mediatiche del mercato transnazionale, che si spacciano per progressiste (senza effettivi progressi, se non per le proprie tasche).

Con particolare riferimento alla Nazione italiana, il global woke militante diventa anarcoide quando al governo c’è il centrodestra, e statolatrico quando a governare è il centrosinistra. Terra prediletta di suo attracco, in quanto terra da trasformare in un suo feudo materialista, anticristianamente relativista, è la patria italiana. Anzitutto perché sul suolo di Roma storicamente esiste, e odiernamente resiste, il cuore canonico nonché mistico della Chiesa cattolica apostolica.

Osservando con progressiva resilienza il nichilistico farsi e disfarsi di questi lunghi tempi, troppo spesso venduti alle sirene della cultura del “risveglio” (sulla scorta del significato del termine “woke”), i liberalpatrioti, i neoconservatori, i classicisti dei diritti sociali dei popoli, i tradizionalisti dell’economia democraticamente libertaria, i cattorepubblicani, e tutti coloro che sanno ben discernere, hanno il dovere morale nonché politico di conservare rigoglioso il coraggio. Quel coraggio consapevole che ci fece grandi, nei secoli scorsi, e che ci vide finalmente uniti nella libertà nazionale. Restando umili come San Francesco d’Assisi, veementemente ispirati come Goffredo Mameli.

Nella nostra laica era, le questioni dialogiche connesse all’identità storico-spirituale di un Paese e quelle collegate al contenuto nonché ai limiti dei diritti individuali, non sono superate né di per sé superabili, ed è giusto così. Il processo di secolarizzazione laicale ci ha donato sì un più ampio raggio di pluralismo, così come lo si intende nei nostri correnti secoli, ma non può espellere arbitrariamente le radici fondative della nostra civiltà dai dibattiti pubblici. Il vero reazionario, d’altronde, è chi non vuole riconoscere (radicale) importanza al tempo (indelebile) della rivoluzione del “dopo Cristo”: rivoluzione mai stanca e, come testimonia l’entusiasmo per le successioni al trono petrino nei momenti delle fumate nere e bianche in Vaticano, rivoluzione permanente, mai tramontata.

La cancel culture quale punta fondamentalista innestata al woke, invece, si presenta come una figlia barbara del vuoto, come una oscurantista idiozia che ciclicamente viene diffusa tra le masse dagli estremisti, e che viene poi difesa da alcuni intellettuali, in cerca di disarmoniche alternative alle morfologie del proprio tedio. La cultura della cancellazione viene prescritta come farmaco drogante dalla più irrazionale furia sub-popolare, e suo nemico principale è il discernimento critico sugli eventi storici, periodo per periodo, evoluzione per evoluzione, sacrificio per sacrificio.

Viene sposata, la cancel culture, dai surrogati giacobini di ogni epoca. Non viene mai contrastata dai cattocomunisti. Viene però travestita per essere confusa tra i manierismi manichei del politicamente corretto, nelle stagioni in cui quest’ultimo diventa egemonia post-gramsciana (o, a seconda dei punti di vista, anti-gramsciana, pur nel medesimo colore rosso di bandiera).

Secondo il letterato inglese Samuel Johnson, chi ha così poca conoscenza della natura umana, sì da cercare la felicità volendo cambiare tutto tranne il proprio atteggiamento, sprecherà la sua vita con sforzi inutili, aumentando i dolori che si volevano eliminare. Al di là di ogni irragionevole semplicismo, chi fa politica in serio stile e crede di poter incidere in società per sensibilizzare un pezzetto di questo mondo, deve misurarsi soprattutto con la capacità di gestire i propri cambiamenti.

Proteggere un nuovo e realisticamente inarrestabile costume sociale con una tutela giuridica, specifica o speciale, è un processo anzitutto storico, dialettico e complesso, che può risultare utile soltanto se e quando rispecchia (o almeno rispetta) i più opportuni tempi e modi realizzativi. La cancel culture, al contrario, abortisce i tempi di ogni metodologia, disprezzando il dialogo, obliando le identità degli elementi storico-dialettici, soffocando la complessità intellettuale degli individui liberi, ed assorbendo questi ultimi in nebulose masse da omologare.

La ferocia dell’oblio storico-politico, che la cultura della cancellazione promuove senza saggezza, è anti-democratica, sterile, pericolosa. Si pone in contrasto con le sembianze di una Nazione ad ordinamento costituzionale pluralista-garantista, la quale ha anzi il compito di guardarsi dentro, in profondità, oltre il sovrastrutturale velo d’alienazione di massa tessuto da alcuni mezzi mediatici di sempre facile consumo.

Destabilizzare i percorsi neoconservatori di legalità, che nella promozione di libertà e humanitas vogliono rimanere grati alle sane radici giudaico-cristiane oltre che ligi ad un ordine pubblico che tutela le sudate proprietà del ceto medio, non condurrà le teorie della post-verità o le tecnocrazie multinazionali ad entrare in comunione con lo spirito degli individui, né con l’èthos delle comunità popolari. Senza quella peculiare comunione, la vita delle organizzazioni – lobbies incluse – diventa una bolla virtuale, mai virtuosa, con un autolesionistico timer pronto a farla scoppiare, al primo rintocco critico proveniente dal campanile della coscienza popolare, sul costato nudo dei secoli che verranno.

Nel luglio 2020, mentre in nome della cancel culture vari movimenti di estremisti imbrattavano le statue di Cristoforo Colombo in America e di Indro Montanelli in Italia con abominevoli vernici rosse, circa 150 intellettuali – tra cui Noam Chomsky – hanno pubblicato una lettera aperta su Harper’s Magazine. Nella lettera si avverte il senso di pericolo derivante da una nuova serie di standard morali e schieramenti politici che tendono a indebolire il dibattito aperto, in favore del conformismo ideologico. Il woke e la sub-cultura della cancellazione, così avvezze alle omologazioni ideologiche, creano problemi, aumentando inutilmente il livello di conflittualità tra le piaghe povere delle società post-contemporanee.

Dove arriverà la furia nichilista della cancellazione culturale? Verranno a disprezzare persino le immagini, le intestazioni toponomastiche e le opere letterarie dedicate a San Paolo di Tarso, solo perché secondo lo pseudo-tribunale del politicamente corretto una sua frase sul ruolo della donna nel rapporto di coppia uomo-donna genera oggi troppi dubbi? I dubbi sono sacri e servono a crescere, interrogandosi sempre con il giusto tatto sui contesti storici di riferimento, lisci o ruvidi che siano, su alcuni particolari superabili come sulla loro intramontabile complessità d’insieme.

La triste tendenza a voler abortire le complessità è giunta persino a mistificare i fatti dell’attualità politica, associandoli maldestramente ad alcune pagine storiche dell’Italia. Lo si è visto molto recentemente con il caso del libro di testo per liceali in cui Fratelli d’Italia, primo partito della maggioranza di centrodestra che sostiene il governo Meloni, è stato descritto in modo distorto, fazioso, lontano da quella lucidità analitica che non dobbiamo mai smettere di ricercare all’interno delle scuole.

Non priviamo i posteri del diritto ad una concreta coscienza storica, e non priviamo nemmeno i nostri odierni giovani studenti del diritto a formarsi liberamente, senza predestinanti condizionamenti ermeneutici. Quei diritti, fattivamente, si basano sul buon assolvimento dei nostri doveri: come cittadini, come intellettuali, come uomini e donne d’avamposto nel divenire dell’azione.

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