Esprimere opinioni o analisi originali, circa il contenuto del Ddl Zan, appare, purtroppo, allo stato degli atti, iniziativa impraticabile e quasi del tutto inutile. Le differenti visioni interpretative si sono ben sedimentate, giunte a maturazione, impossibilitate al raggiungimento di un qualsivoglia punto d’incontro e di mediazione.
Da una parte vi sono coloro che attaccano la bozza normativa, in quanto giudicata anticostituzionale, incongruente e liberticida, dall’altra chi la difende a spada tratta, considerandola un tassello imprescindibile nel cammino verso l’edificazione di una società più giusta ed equa, a tutela di gruppi sociali oggetto di discriminazioni e intolleranze varie.
Vi sarebbe, inoltre, un terzo “partito”, muto e silenzioso, quello degli indifferenti, rappresentato dalla stragrande maggioranza degli italiani che, ormai da anni, si disinteressa alla politica, la guarda con ostilità e sdegno, rimpiangendo i grandi del passato: Berlinguer, Almirante, De Gasperi e Craxi, giusto per citarne alcuni. Questo terzo gruppo “politico” è quello che vanta la rappresentanza maggiore, ma che non può esprimere parlamentari di sorta, restando, di fatto, perennemente inascoltato e inesaudito. Una collettività che ha saputo prendersi, tuttavia, una bella rivincita con il referendum sul taglio dei parlamentari.
Perché cresce sempre più questa disaffezione verso i gestori della cosa pubblica? E in che modo si lega tutto questo al Ddl Zan? Stiamo forse divagando, smarrendo il filo del discorso? Non credo proprio. La solidità di un albero non si misura dalla sua altezza, ma dalla presa che le radici hanno nel sottosuolo.
Nessuno dorebbe essere denigrato, offeso, insultato, o peggio, per via dell’orientamento e delle identità sessuali espresse. Questo è insindacabile, ed è una questione di civiltà e di verità. L’uomo, in quanto persona, rivendica, sempre e comunque, dignità e accoglienza, in seno alla società, alla famiglia e a tutti i luoghi, e i tempi, del vivere. Com’è possibile, allora, che su un tema nobilissimo come questo non si riesca a raggiungere un accordo condiviso trasversalmente da tutte le forze politiche?
Il motivo, a mio avviso, è del tutto evidente: il parlamento, e con esso il pieno funzionamento della nostra democrazia, appare in affanno, in quanto periodicamente scavalcato, ignorato, reso obsoleto e inerme. L’esecutivo e il giudiziario si contendono spazi di potere a discapito del legislativo, facendo saltare il delicato, ma preziosissimo, equilibrio tra le parti in causa. Ovunque prende piede una sottile “parlamentofobia”, una paura, ma anche un certo fastidio, per il dialogo, il confronto, il tentativo, mai ultimo e definitivo, di raggiungere convergenze e mediazioni alte.
Non c’è la volontà di prendersi il giusto tempo, di sondare la complessità insita in determinate decisioni o scelte, manca progettualità, sguardo verso il futuro e, persino, il più elementare calcolo dei costi e dei benefici. Si percorrono logiche di potere, obliando che la politica è, o dovrebbe essere, soprattutto servizio. Forzare la mano, fare propria la logica del tutto o niente, rischiare di ottenere una vittoria di Pirro: siamo sicuri che questa fosse la migliore scelta possibile? Cosa succederà tra tre, cinque o dieci anni, quando si insedierà un esecutivo di centrodestra? Semplicemente l’abrogherà nella sua interezza. Il Ddl Zan verrà trattato allo stesso modo del Decreto Sicurezza e verrà smantellato. L’esecutivo fa e disfa, il parlamento tace e il Paese rivive continuamente l’eterno ritorno dell’identico, ormai rassegnato all’immobilismo e alla miopia della classe dirigenziale.
E se il postmodernismo non avesse realmente sancito la fine delle ideologie, ma si fosse, invece, limitato all’anestetizzazione delle buone prassi della cultura politica? Lasciamo ai posteri l’ardita sentenza…