Che tutto ciò sia reale solo nella sua narrazione poco importa. Per il premier quello che conta è stare al centro, occupare la scena. Annunciare senza contraddittorio. Figuriamoci rispondere davvero alle domande o spiegare i passaggi in Parlamento. Lui – populista della “rassicurazione” – disintermedia, scivola, sposta i fari dal delitto.
E a questo serve il dispositivo retorico del “contismo”: a sganciare il racconto dai fatti, per diventare allo stesso tempo teoria e prassi.
Non ci credete? Prendiamo il provvedimento più atteso: il neobattezzato “decreto rilancio”. Una misura – praticamente una manovra – annunciata fin da marzo, pensata ad hoc per aprile (fino a qualche ora fa si chiamava «decreto aprile»…) ma, come accade puntualmente con la rissosissima maggioranza giallorossa, rinviata di continuo a causa di errori di valutazione, disorganicità dei provvedimenti, estrema litigiosità dei contraenti.
Davanti a questo Conte, “maestro” di gimcane verbali, di formulette tautologiche, che fa? Semplice: invece di prendere politicamente atto del problema, spruzza un po’ di zucchero a velo nella stessa torta. E…magia: si chiamerà non più decreto aprile, nemmeno decreto maggio (siamo già al 10 del mese) ma «decreto rilancio». Nient’altro che un’operazione cosmetica per un provvedimento atteso da settimane dalla vena viva dell’economia nazionale, letteralmente in ginocchio a causa del lockdown e di una fase 2 che non ha un punto fermo se non il caos generato dalla cabina di regia di Conte.
Lo ha sottolineato così Giorgia Meloni: «Prima doveva essere il decreto “aprile” ma poi aprile è finito e allora hanno pensato di chiamarlo decreto “maggio”. Infine spunta la novità: il decreto “maggio” diventa decreto “rilancio”», attacca la leader di Fratelli d’Italia secondo la quale il Governo «continua a cambiare nome a un decreto che ancora non esiste e abbiamo solo bozze, anticipazioni e “brogliacci”, che aggiungono caos al caos e alimentano ansia e panico tra famiglie e imprese. La pazienza è finita».
Ha ragione la madrina sovranista. Il livello di sopportazione ha superato da diverso tempo la soglia di “quarantena”. E Giuseppe Conte, nonostante il monopolio della tribuna istituzionale di cui ha abusato senza pudore né stile in questi tre mesi, presto sarà chiamato a dare risposte agli italiani per tutti i “già” che ha assicurato.
Per un decreto salva imprese dove gli «atti d’amore delle banche» che auspicava nei confronti degli imprenditori si sono rivelati in tante porte in faccia ai cittadini. Stesso discorso quello sulla «poderosa potenza di fuoco» con cui l’ex avvocato del popolo si pavoneggiava: di quei fantomatici 400 miliardi, solo l’1,6% sono stati erogati.
Così come l’Inps ha inceppato non solo il sito ma anche la cassa. “Già”, è proprio il caso di dirlo. Che fine hanno fatto tutti gli aiuti del premier?