Il diritto di essere madre negato a Giorgia Meloni

Essere madre è forse il mestiere più difficile del mondo, ma senza dubbio anche il più gratificante.
Eppure, pare che per una certa sinistra, la stessa che da decenni si erge a paladina dei diritti, delle libertà individuali e della parità, alcuni principi valgano solo a corrente alternata.

Lo prova l’ultimo attacco rivolto al Presidente del Consiglio, colpevole, secondo alcuni esponenti dell’opposizione, di essersi concessa un weekend all’estero con la figlia. Due giorni. Due. Tanto è bastato per far gridare allo scandalo, per insinuare sospetti di abuso di potere, e per trasformare un momento di vita privata in una polemica politica, tanto da arrivare in Parlamento sotto forma di interrogazione.

Accuse feroci, gravissime. Che però, come spesso accade, sono state presto smentite dalla realtà dei fatti. Perché, anche in questo caso, si tratta dell’ennesima montatura priva di fondamento, montata ad hoc per screditare non solo la figura istituzionale del premier, ma anche la sua dimensione umana e materna.
Ed ecco che qui si manifesta il paradosso dei militanti rossi: da una parte, infatti, la sinistra rivendica diritti e libertà per tutti, chiedendo a gran voce l’indipendenza femminile (o meglio, dovremmo dire femminista), la parità di genere et similia. Dall’altra parte però, questa stessa sinistra, nega tutto ciò a una donna solo perché siede a Palazzo Chigi non indossando la casacca giusta.

Peccato che tutto si possa dire di Giorgia Meloni tranne che abbia mai dimenticato le sue responsabilità politiche.
Perché non lo ha fatto nemmeno nei momenti più personali e delicati. Tant’è che la ricordiamo bene nel 2016, in campagna elettorale, incinta, a percorrere i quartieri e i mercati della Capitale in occasione della sua candidatura a sindaco di Roma.

Oggi la sua scelta di essere madre viene messa sul banco degli imputati.
Ma qui non si tratta più solo di attaccare un’avversaria politica. Si va oltre. Si colpisce la sua famiglia, si dà addosso addirittura ad una bambina, colpevole solo di voler passare del tempo con la madre.
Si fa intendere, senza mezze parole, che l’essere madre debba insomma considerarsi peso per lo Stato, un costo, quasi un intralcio.

Ed è questo che fa più paura. Ossia il fatto che certi diritti valgono per tutti, ma solo quando fanno comodo. Libertà, autodeterminazione, vita privata: sì, ma a patto che non si applichino a chi la pensa diversamente.

Ancora una volta, la sinistra mostra la sua natura da Giano bifronte. Grida alla libertà, ma la nega quando non si adatta alla propria narrazione. Difende ogni forma di autodeterminazione, ma considera “inaccettabile” che una donna possa concedersi 48 ore da madre.

Se esiste una forma di discriminazione sottile, ma profonda, è proprio questa: negare la maternità come scelta libera e compatibile con un ruolo di potere. Come se essere madre e leader fossero due binari inconciliabili.
E allora, la domanda non è più solo politica, ma è più profonda: di quale progresso parla davvero la sinistra, se nel 2025 non riesce nemmeno ad accettare il fatto che una donna possa essere sia madre che leader?

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