Il dovere di difendere chi ci difende: intervista al Col. (Ris.) della Guardia di Finanza Sergio De Santis

In un’epoca segnata da crescenti tensioni sociali e da un diffuso senso di insicurezza, la voce di chi ha servito lo Stato per oltre quarant’anni assume un valore particolare. Sergio De Santis, Colonnello (ris.) della Guardia di Finanza e attuale presidente dell’Associazione Nazionale Finanzieri d’Italia di Bergamo, porta in dote un’esperienza profonda e una visione lucida dei problemi che affliggono le nostre città. Già consigliere comunale di Fratelli d’Italia a Como, De Santis conosce in profondità ogni livello della filiera istituzionale, dalle dinamiche operative sul territorio a quelle amministrative. In questa intervista affrontiamo con lui le principali sfide che attendono l’Italia e il Governo Meloni a partire dal ruolo – troppo spesso misconosciuto – delle Forze dell’Ordine.

Colonnello De Santis, in Italia – come negli Stati Uniti con il movimento “Defund the Police” – una parte della sinistra sembra più incline a criminalizzare le Forze dell’Ordine che a difendere i cittadini. Come interpreta questa deriva?

Diciamo subito che il movimento americano Defund the Police (Togliete i fondi alla polizia) ha avuto vita breve. Nel suo approccio anarcoide ed ideologico, si è dimostrato assolutamente inadeguato per affrontare una realtà complessa come la criminalità e la sicurezza. Bastasse ridimensionare la presenza della polizia per vivere più sereni, lo avremmo fatto subito, ma dubito che quella che io ritengo essere una provocazione possa portare a quanto auspicato, anzi, dagli Stati Uniti arrivano voci sempre più convinte che un tale ridimensionamento determinerebbe il crollo della società americana in poche settimane.

Quanto all’Italia, nessuno si è mai apertamente schierato verso un definanziamento delle nostre Forze dell’Ordine ma sono evidenti, in alcuni settori della sinistra e dei 5 stelle, che poi mi sembrano oramai la stessa cosa, segnali apertamente critici verso l’operato della nostra Polizia, segnali che si sono tramutati in scelte di campo ben precise, come nel caso Ramy, o come accaduto spesso in occasione di cortei “pacifisti”, dove la violenza di alcuni manifestanti è stata contenuta legittimamente dai poliziotti, e nonostante ciò da sinistra sono piovute proteste perché le nostre forze dell’ordine si sono dovute difendere o hanno dovuto salvaguardare l’ordine pubblico usando i mezzi che le norme consentono di avere.

Quali sono, secondo lei, le conseguenze sociali e istituzionali di una narrazione che delegittima sistematicamente chi indossa una divisa?

Sono gravissime e spesso sottovalutate da quelle forze politiche appena menzionate. Le nostre Forze Armate, le nostre Forze dell’Ordine, sono da sempre nel cuore degli italiani, come dimostrano gli indici di gradimento delle Istituzioni. Alcune di queste, negli anni, hanno visto aumentare o diminuire l’apprezzamento dei cittadini italiani, si guardi la magistratura prima e dopo tangentopoli ad esempio, mentre l’affetto verso i nostri ragazzi e ragazze in divisa è sostanzialmente immutato da anni, con un indice di gradimento altissimo. Questo vuol dire che chi, per scopi elettorali, o di solleticamento della pancia di gruppi estremi, delegittima magari non apertamente, ma con una serie di critiche a senso unico la nostra polizia, di fatto genera, o contribuisce a generare quel senso di smarrimento nella popolazione italiana, che vede messi sotto accusa, spesso in maniera ingiustificata e strumentale, i propri figli in divisa. Smarrimento che comporta anche l’aumento della percezione di insicurezza dei cittadini, specie quando vedono i rappresentanti delle forze dell’ordine attaccati pesantemente proprio da persone che siedono in Parlamento.

Da uomo delle Istituzioni, che ha servito lo Stato per decenni, come vive il crescente isolamento e le difficoltà operative degli Agenti che oggi, spesso, finiscono sotto accusa per aver fatto il proprio dovere?

Ho servito la Patria per 42 anni, e quando mi sono arruolato in effetti non avvertivo, e non ho avvertito per lustri, quello che invece oggi c’è e che ha ben definito come un: “crescente isolamento e difficoltà operative degli agenti”.

Proprio in questi giorni abbiamo ancora una volta assistito, dopo l’omicidio del Brigadiere dei Carabinieri Carlo Legrottaglie, assassinato da criminali spietati, e dopo la sparatoria che ha visto restare ucciso uno dei due malviventi, all’ennesimo avviso di garanzia nei confronti dei poliziotti che hanno solamente fatto il proprio dovere. 

Atto dovuto o no, e potremmo parlare per ore su questo argomento, questa attività giudiziaria rivolta a chi ci difende giornalmente, ha fatto letteralmente indignare milioni di italiani, per i quali rimane insopportabile l’idea che i poliziotti debbano affrontare, oltre a malviventi senza scrupoli, anche il sottostare a indagini moralmente devastanti.

Dopo anni di governi di sinistra che hanno indebolito lo Stato sul piano della sicurezza, quanto tempo servirà per invertire davvero la rotta? E quanto è importante, in questo senso, l’approccio del Governo Meloni?

Questi anni passati hanno reso l’Italia, opinione personale, molto più fragile ed insicura. Le politiche di tolleranza verso una immigrazione irregolare sempre più invasiva, cui non è seguita una sostanziale politica di integrazione verso chi risiedeva legalmente nel nostro Paese, ha permesso alla criminalità organizzata di avere una mano d’opera gratuita da impiegare nelle attività criminali, senza contare che certe dinamiche hanno contribuito anche alla proliferazione di una mafia etnica, non meno pericolosa di quella tradizionale, se non più sanguinaria e di difficile contrasto, come quella nigeriana, che in molte zone d’Italia ha oramai il monopolio dello spaccio, della prostituzione, del traffico di esseri umani, delle estorsioni e del caporalato.

Per fortuna questo Governo e questa Maggioranza, a cominciare dal Decreto Caivano, per finire al recente Decreto Sicurezza, con ben nove nuove ipotesi di reato e quattordici aggravanti, stanno ponendo le basi per riportare il Paese in uno stato di maggiore sicurezza e serenità per le nostre famiglie, anche se il cammino è ancora lungo e impervio.

Il fenomeno delle baby gang sta esplodendo in molte città italiane: è una questione di ordine pubblico, di degrado sociale o di vuoto educativo?

Direi che ci sono tutte le componenti che lei ha elencato.

L’appena citato Decreto Caivano permette oggi al Questore di applicare alcune importanti misure preventive: il Daspo Urbano, anche nei confronti dei minorenni; l’avviso orale, anch’esso esteso ai minori di anni 18; il potere di vietare al minore l’utilizzo di cellulari, computer o altri apparecchi informatici se c’è il pericolo che questi possano essere stati utilizzati per la commissione di alcune azioni delittuose (es: spaccio di sostanze stupefacenti, revenge porn o cyberbullismo); Il reato di “inosservanza dell’obbligo dell’istruzione dei minori”, per mezzo del quale si potrà punire (con la reclusione fino a 2 anni) il genitore che non permetta l’istruzione del minore nel periodo di istruzione obbligatoria (fino ai 16 anni); l’ammonimento del Questore esteso in determinati casi anche ai minori di anni 14 ma superiori agli anni 12.

Certo, solo l’attività di prevenzione e repressione delle autorità di polizia non possono e non debbono bastare, e qui penso all’azione educatrice delle famiglie, della scuola, della Chiesa con i suoi oratori, delle associazioni sportive, che dovrebbero essere rivitalizzate.

Su una cosa mi soffermerei, e cioè sulla efficacia formativa, educativa, e financo medica (quelli della mia età non possono non ricordare i famosi “tre giorni”, in cui presso gli ospedali militari si effettuavano numerosi screening, tra cui quello del varicocele, causa primaria dell’infertilità maschile) di quello che era il servizio di leva.

Io sono dell’idea che un servizio militare, aggiornato ai tempi che viviamo, sia possibile e sia un’ottima cosa. Si darebbe modo ai giovani di imparare a difendersi e a difendere il proprio Paese, di operare per il mantenimento della pace nel mondo, di dare un aiuto prezioso in attività di protezione civile o di ordine pubblico nelle nostre città. Un servizio di leva siffatto porterebbe benefici alla formazione e alla maturazione del carattere dei nostri giovani, maschi e femmine, italiani da sempre o di seconde e terze generazioni, contribuendo a rafforzare il sentimento di unità nazionale.


Il “modello Giuliani” a New York – fondato su tolleranza zero e presidio costante del territorio – ha ridato dignità a una metropoli schiacciata dal crimine. È un approccio replicabile anche in Italia?

Secondo me sì, assolutamente favorevole a poter replicare anche in Italia la famosa tolleranza zero.

Il far rispettare le semplici regole di civile convivenza che dettano ad esempio i regolamenti comunali di polizia urbana, il non tollerare chi non rispetta il sacrosanto diritto altrui a voler vivere in una società tranquilla e serena, sono cose fattibili e raggiungibili, innanzi tutto con il presidio del territorio, come giustamente indicato, che non vuol dire militarizzazione, ma solo una presenza che può anche essere discreta, ma che deve essere sicuramente percepibile dai cittadini, e se del caso anche ben visibile e pronta a riportare il diritto nelle nostre strade.

Serve quindi un investimento nella sicurezza, con un ringiovanimento dei ranghi della polizia, carabinieri, finanzieri ecc. ecc., un ammodernamento delle attrezzature, a cominciare dall’uso del taser, sistema che permette di risolvere il 90 per cento delle situazioni critiche solamente mostrando la pistola elettrica, evitando di dover impiegare la più “pericolosa” (per il criminale) arma da fuoco in dotazione.

E poi varare finalmente una nuova legge per la Polizia Locale, sempre più polizia di prossimità in contatto diretto col cittadino, che sostituisca la legge quadro del 1986, o arrivare almeno ad un contratto nazionale che equipari la Polizia Locale alle forze di Polizia Statali dal punto di vista retributivo, assistenziale e previdenziale.

La teoria delle “finestre rotte” afferma che contrastare i piccoli reati è fondamentale per evitare che il degrado si espanda. Ritiene che oggi questo principio sia stato abbandonato?

Purtroppo, sì. La teoria delle finestre rotte è una nota teoria criminologica secondo cui, quando le persone sono in presenza di un ambiente non curato e “disordinato” (graffiti sui muri, spazzatura per strada, bici rubate ecc.) tendono ad alimentare il disordine stesso con i loro comportamenti (per esempio, se vedono sporcizia a terra, non si fanno molti scrupoli a sputare un chewing gum anziché arrivare al cestino). In sintesi, secondo questa teoria esisterebbe un forte legame tra le condizioni ambientali e i comportamenti sociali (o antisociali).  Detto ciò, c’è la propensione, da una certa parte politica, a cercare di sminuire la cosiddetta microcriminalità, a voler derubricare certi atteggiamenti, se già non criminali, sicuramente border-line, a semplici “ragazzate”, che la società di oggi dovrebbe tollerare perché gli autori sono spesso giovani dal passato familiare difficile, oppure immigrati che non sono riusciti ad integrarsi, ed altro ancora.

Sarebbe bello avere una società dove tutti possano avere le stesse opportunità di affermazione all’interno della stessa, ma ciò non toglie che prima ancora dei problemi nascosti dei delinquenti o dei quasi delinquenti, abbiamo il sacrosanto dovere di difendere i cittadini. Non dobbiamo dimenticare che prima della rieducazione del reo, c’è la tutela della vittima e dei suoi familiari!


Che tipo di lavoro educativo servirebbe nelle scuole italiane per formare cittadini consapevoli, rispettosi della legge e delle istituzioni? 

A mio avviso andrebbe potenziato un percorso che porti i nostri ragazzi a conoscere innanzi tutto la nostra Carta Costituzionale, che rispecchia la nostra società, la nostra cultura, la nostra garanzia di vivere in un Paese libero e democratico. Poi mi piacerebbe che venissero intrapresi percorsi specifici, anche mediante una visione diretta sul campo (e quindi far visitare le aule dei tribunali e le caserme delle nostre Forze dell’Ordine e delle Forze Armate) per far conoscere l’applicazione delle leggi italiane, le basi della procedura civile e penale, i diritti e i doveri che sono in capo ad ogni cittadino, ma soprattutto educare al rispetto della legalità come valore fondamentale per la convivenza civile. 

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Alessandro Nardone
Alessandro Nardone
Consulente di marketing digitale, docente alla IATH Academy, è autore di 9 libri. È stato inviato di Vanity Fair alle elezioni USA dopo aver fatto il giro del mondo come Alex Anderson, il candidato fake alle presidenziali americane del 2016.

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