La premier Giorgia Meloni è intervenuta agli Stati generali dei commercialisti 2025 tenutisi a Roma. La premier, accolta da un lungo applauso da parte della platea, è salita sul palco con il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei commercialisti Elbano De Nuccio. Giorgia Meloni è stata il primo Presidente del Consiglio a partecipare in presenza a questa assemblea annuale. Ha iniziato il proprio intervento sottolineando l’importanza fondamentale e insostituibile del mondo delle professioni, che svolge un ruolo essenziale per il buon funzionamento della macchina fiscale e tributaria ed è punto di connessione fra Stato e cittadini, fra l’amministrazione pubblica, le famiglie e le imprese.
La burocrazia, che il Governo Meloni intende snellire ed efficientare nel corso del proprio mandato, ci mette spesso a dura prova e non possiamo che avvalerci di professionisti come i commercialisti. Una parte importante del discorso della premier Meloni è stata dedicata al fisco, un tema cruciale ed impegnativo in Italia. Per la numero uno di Palazzo Chigi il fisco è anche il biglietto da visita della credibilità di uno Stato e non deve soffocare la società, ma aiutarla a prosperare. Non deve opprimere famiglie e imprese con regole astruse ed un livello di tassazione che non corrisponde alla qualità dei servizi che lo Stato eroga. Lo Stato deve usare le risorse, ha proseguito Giorgia Meloni, con buonsenso e senza gettare i soldi dalla finestra, cioè, deve seguire la linea che il Governo ha tracciato sin qui.
L’obiettivo dell’esecutivo è tagliare le tasse in modo equo e sostenibile, e dopo la riforma delle aliquote IRPEF, il lavoro non è finito perché si intende fare di più e concentrare l’azione sul ceto medio, che è la struttura portante del sistema produttivo italiano. Dopo le parole pronunciate dalla premier agli Stati generali dei commercialisti, è stato dato risalto ad una reazione del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il quale ha affermato che comunque rimangono ancora due anni e mezzo di tempo, da qui al termine della legislatura per intenderci, al fine di procedere ad ulteriori revisioni e tagli delle aliquote IRPEF.
I maliziosi, che ovviamente non possono mancare mai, hanno già intravisto un inizio di dissidio fra il Presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia, ma i retroscenisti più audaci si mettano il cuore in pace perché Meloni e Giorgetti remano entrambi verso la stessa direzione. Certo, chiunque si trovi a dirigere il ministero di Via XX Settembre, considerate le tante tribolazioni economico-finanziarie attraversate dall’Italia, deve ricorrere sempre a saggezza e prudenza, e spesso il rapporto fra Palazzo Chigi e MEF è simile al confronto continuo tenuto dagli imprenditori con i loro commercialisti, che a volte richiamano al rigore la clientela. Guarda caso, Giancarlo Giorgetti, al di fuori della politica, è dottore commercialista e revisore contabile, ma possiamo citare tanti altri predecessori del ministro leghista che hanno spesso ricordato ai loro premier di riferimento la necessità della ponderazione in un Paese come l’Italia, e ci viene in mente un certo duellare che ha caratterizzato a volte il lavoro del premier Silvio Berlusconi con il suo ministro dell’Economia e delle Finanze Giulio Tremonti. Però, il DNA del centrodestra a trazione meloniana, che è sì composto da sfumature e sensibilità diverse, è uno per quanto riguarda il fisco, e pure molte altre cose.
Come ha detto la premier Meloni alla platea romana di commercialisti, il fisco visto da destra deve aiutare la società e la Nazione perché una tassazione inevitabile quanto equa consente allo Stato di erogare quei servizi essenziali per il cittadino, e per essere di aiuto e non di ostacolo davanti al perseguimento della prosperità di famiglie e imprese, ha il dovere della ragionevolezza. Non si può pagare più di quanto si guadagni come è successo invece, tristemente, in tanti anni in Italia, in particolare con i fucili puntati di Equitalia e dei vari governi tecnici o allargati, basati su una forte influenza delle sinistre. Quando una piccola impresa non riesce ad incassare le fatture emesse, perdendo così la vitale liquidità, e tuttavia si trova costretta a versare le imposte in maniera integrale, essa non può che entrare in un pericoloso cortocircuito e fallire.
Negli anni addietro non sono mancati, purtroppo, i suicidi di piccoli imprenditori distrutti, nel portafogli e nella dignità, e il Governo Meloni, anche per vendicare queste morti ingiuste, vuole arrivare ad un regime fiscale percepito come amico e non come foriero di morte. Serve la necessaria gradualità, la premier lo dice dal 2022, perché la complessa e a lungo maltrattata Italia non è l’Argentina di Javier Milei e nemmeno l’America di Trump, ma la destra di Fratelli d’Italia si sta adoperando da due anni e mezzo per fare la differenza con la mentalità punitiva e poliziesca a livello fiscale del Partito Democratico e con il “tassa e spendi” irresponsabile del Movimento 5 Stelle.