Le politiche economiche e sociali messe in atto dal Governo Meloni hanno già ricevuto numerosi apprezzamenti, in Patria e all’estero. L’ISTAT, l’INPS e altri organismi indipendenti dello Stato, certificano da tempo, con le loro relazioni periodiche, gli effetti positivi prodotti dalle ricette del Governo in economia, nel mondo del lavoro e nella gestione dei soldi pubblici. Anche la maggioranza degli elettori nota e ritiene di premiare con il voto l’impegno proficuo dell’esecutivo.
La premier Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia e la coalizione di centrodestra, dal 2022 ad oggi, non hanno ancora attraversato un benché minimo momento di crisi di popolarità, anzi, il consenso è cresciuto durante gli ormai quasi tre anni di governo, e ci sarà pure una ragione, riteniamo. E, si badi bene, i conservatori alla guida dell’Italia non rimangono primi in classifica solo perché gli avversari sono parecchio scarsi, le sinistre di Elly e Giuseppi, ma in quanto dimostrano di saper governare, anche in frangenti storici difficili, e di voler portare avanti dei cambiamenti con decisionismo e senso di responsabilità, in una Nazione a lungo ingessata.
A causa di tanti anni di malgoverno e di sperpero del denaro pubblico, rimane ancora molto da fare, ma è evidente a tantissimi che l’Italia di oggi, quella governata da Giorgia Meloni, stia meglio dell’Italia di ieri e dell’altro ieri. Gli unici a parlare di un Paese sempre più povero ed affamato sono rimasti i leader di sinistra e i sindacalisti come Maurizio Landini, ma quella parte di Nazione, si sa, porta avanti, male, il proprio mestiere.
A livello internazionale, le principali agenzie di rating, Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch, hanno elogiato il lavoro fin qui svolto dal Governo Meloni e rivisto al rialzo sia le prospettive economiche italiane che la tenuta finanziaria dei conti dello Stato. Alle tre sorelle globali del rating, si è aggiunto adesso, con un report assai incoraggiante per l’Italia, la sua economia e il suo bilancio pubblico, il Fondo Monetario Internazionale. Gli analisti del FMI, nel rapporto annuale sull’economia e la finanza pubblica italiana, (Article IV), hanno scritto in merito alla forte crescita dell’occupazione e alla drastica riduzione del deficit, dovuta alla disciplina fiscale di questi ultimi anni.
La combinazione fra il buon andamento del mercato del lavoro e la curva discendente del deficit fa dell’Italia un elemento di stabilità economica, dotato di argini sufficienti a contenere i rischi generati da uno scenario mondiale pieno di incognite legate alle politiche commerciali, (il tema dei dazi non ha ancora incontrato una soluzione), e alle tensioni geopolitiche. Il FMI rileva la brillante performance fiscale che l’anno scorso ha riportato, in anticipo sulle previsioni, l’avanzo primario nei conti italiani. Questo aggiustamento, secondo il Fondo Monetario, è stato reso possibile senza danneggiare l’economia reale, che è stata invece sostenuta da politiche solide a sostegno della crescita e dai livelli record dell’occupazione.
I risultati del primo trimestre di quest’anno, nonostante tutte le incertezze che riguardano il commercio globale, hanno evidenziato una crescita dello 0.3% grazie ad un continuo incremento degli investimenti. Tale fattore, insieme alla accelerazione prevista per la fase finale del PNRR, aiuta l’Italia a reggere anche di fronte alle tante instabilità del mondo. Gli analisti del FMI prevedono per quest’anno una crescita economica dello 0.5 per cento, destinata a salire allo 0.8% nel 2026 per poi decelerare leggermente nel 2027. Non si tratta di percentuali di crescita, per così dire, asiatiche, ma se pensiamo al rischio di recessione che riguarda alcune grandi potenze, in teoria ben più robuste della nostra Penisola, possiamo guardare con ottimismo alle performance di un’Italia che comunque cresce, non è ad incremento zero e non porta con sé il segno meno.
Questa crescita, come viene precisato nel rapporto del Fondo Monetario, manterrà il deficit sotto al 3 per cento del PIL nei prossimi due anni, dopo la chiusura nel 2025 al 3.3% secondo le previsioni sia del Governo che del FMI. Nel report viene evidenziata e lodata la politica economica del Governo Meloni, concretizzata dall’inizio della legislatura ad oggi. Davanti ad una congiuntura complessa e dopo la dilapidazione del denaro pubblico operata in un decennio di governi rossi, giallorossi e sedicenti tecnici, addirittura “competenti”, la destra di governo, considerati anche i vincoli europei, si è posta il dovere della prudenza e dell’attenzione a non provocare per il Paese salti nel buio.
Lo abbiamo scritto tante volte e lo ripetiamo: l’Italia non è l’Argentina di Javier Milei, al quale la premier Meloni è comunque legata umanamente e politicamente, quindi, in alcuni ambiti si è costretti a procedere per gradi e con le forbici, piuttosto che con la motosega. L’avvedutezza meloniana, come ha osservato il FMI, ha consentito di porre sotto controllo il deficit e lo spread da tempo sotto quota 90, situazione inedita rispetto agli ultimi dieci o quindici anni, è un segnale significativo della raggiunta stabilità finanziaria dello Stato italiano. Ma la cautela del Governo Meloni è un’altra cosa rispetto al rigore mortifero dei tecnocrati alla Mario Monti.
Il rigore montiano, ancora ricordiamo il Governo presieduto dall’attuale senatore a vita, prevede uno stretto controllo dei conti pubblici, ma a scapito dei cittadini e delle imprese, con stangate fiscali e approcci repressivi verso il contribuente, (il boom delle cartelle di Equitalia si concentrò durante il Governo Monti). Bene, forse, per le casse dello Stato, ma molto male per crescita del PIL, investimenti ed attrattività.
Con un clima siffatto, chi si trova all’interno di un determinato Paese, cerca di uscirne, e chi guarda da fuori, cerca di starne lontano. Invece, la destra di governo sta correggendo il deficit senza spremere i cittadini con nuove tasse, anzi, al contrario del terrorismo rigorista di Monti, riesce a tenere la barra dritta circa i conti pubblici con la riduzione progressiva della imposizione fiscale e il sostegno a crescita e occupazione perché il bilancio dello Stato trae beneficio dall’incremento del PIL e dagli investimenti, e non solo da ondate di balzelli.
Il Governo, con la riforma delle aliquote IRPEF, la riduzione del cuneo fiscale in busta paga, la Flat Tax, ha già imboccato la strada per la riduzione del peso del fisco gravante su famiglie e imprese, e questo è solo l’inizio di un cammino che continuerà fino alla realizzazione del cosiddetto “fisco amico” e di un Paese in cui non si abbia più timore di intraprendere e di investire.