Nella legge di bilancio per il 2023 non è stato rinnovato il taglio delle accise su benzina e diesel. Il fuoco di fila delle opposizioni è incessante. Sul banco degli imputati la presunta “incoerenza” del premier Meloni. Dicono che abbia rinnegato sé stessa e le promesse fatte agli elettori. Perché il populismo ha le gambe corte. Ma è veramente così?
La pietra dello scandalo è un video del 2019. La futura premier all’epoca sedeva all’opposizione del governo Conte II. Ebbene: “Giorgia” viene immortalata mentre mette 50 euro di benzina. È in procinto di pagare quando compare il Fisco che di quei 50 euro ne trattiene 35. La leader di Fdi osserva: “Avete capito? Quando fate 50 euro di benzina 15 vanno al benzinaio e 35 allo Stato”. Insomma, più di 2/3 se ne va in tasse. Quindi la Meloni dice: “Non solo chiediamo che non aumentino le accise sulla benzina. Noi pretendiamo che le accise vengano progressivamente abolite”.
Per i polemici le prove a sostegno dell’incriminazione sono inconfutabili. Il ritornello è quello della maschera populista che viene giù. Chi critica però non considera una variabile affatto secondaria: il tempo e l’imprevedibile rovescio degli scenari con cui abbiamo dovuto fare i conti. Molte cose sono cambiate dal 2019 ad oggi. Il lockdown e la guerra in Ucraina erano eventualità inimmaginabili così come l’impennata inflazionistica che ne è derivata. Per dirla con le parole di Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia: “Come può il Paese più indebitato d’Europa rinunciare alle entrate sui carburanti quando non sa dove reperire risorse per coprire la vera emergenza, quella sulle bollette del gas e dell’elettricità?”.
Certo, sarebbe stato più semplice procedere con il rinnovo automatico. Nessuno avrebbe gridato allo scandalo né sollevato polemiche. Ma sarebbe stato giusto? Giorgia Meloni l’ha ribadito in più occasioni: “Intendo assumermi la responsabilità delle scelte che prenderemo, anche se questo dovesse costare in termini elettorali”. E ancora: “Siamo pronti a fare quello che è giusto per la Nazione e non per noi”. È il senso di una mossa che è stata attentamente soppesata dall’attuale esecutivo. Il primo indicatore di cui ha tenuto conto il governo sono i prezzi. Sì perché Draghi quel taglio lo ha disposto in via emergenziale. La sua ragion d’essere era nel contrasto immediato e urgente all’impennata dei prezzi del carburante dovuta al conflitto russo-ucraino.
Era marzo 2021 e la benzina aveva superato il tetto dei 2 euro al litro. A dicembre però i prezzi si sono stabilizzati sotto la soglia pre-invasione. È quindi venuto a mancare il fondamento che era alla base di una misura così impattante per le casse dello Stato. Stiamo parlando di 10 miliardi su base annua, ovverosia più del 25 per cento della manovra che di miliardi ne vale 35. Risorse che andavano liberate da una misura orizzontale e iniqua per impiegarle in interventi mirati: come il credito d’imposta alle imprese per affrontare il caro energia o l’ampliamento della platea delle famiglie che usufruiranno degli aiuti dello Stato per calmierare le bollette. Per intenderci: il costo trimestrale del bonus sociale elettrico e gas per le fasce economicamente svantaggiate costa quanto sarebbe costato il rinnovo trimestrale dello sconto sulle accise.
Dice il premier nei suoi appunti: “Per tagliare le accise non avremmo potuto aumentare il fondo sulla sanità, la platea delle famiglie per calmierare le bollette domestiche, aumentare l’assegno unico per i figli, creare un carrello-spesa, finanziare la decontribuzione per i nuovi assunti, il fondo per i crediti delle Pmi. Questa è giustizia sociale”. Insomma, andavano fatte delle scelte. Un concetto forse incomprensibile a chi è abituato ad inseguire il consenso facile. Questo però è un governo che fa gli interessi della Nazione e non i propri.
Si può obiettare nel merito dei singoli provvedimenti, certo, per farlo però occorrerebbe argomentare con qualcosa che vada al di là delle accuse di incoerenza. Non tutti ne hanno la capacità. Così le opposizioni continuano a strillare una versione di comodo: “La Meloni ha aumentato le accise”.
E anche su questo vale la pena fare chiarezza. Il governo Meloni non ha affatto aumentato le accise: le accise sono rimaste quelle pre-sconto. Quelle di sempre. Quelle con cui i governi passati hanno sempre giocato al rialzo per fare cassa. Lo ha fatto anche Enrico Letta che oggi pontifica dall’opposizione. La Meloni punta a tagliarle in maniera strutturale.
È l’obiettivo di legislatura e chi dice che si sarebbe potuto fare schioccando le dita è il vero demagogo.