Il Governo protegge la sovranità nazionale dalla Cina

Giorgia Meloni ha affermato di non essere un Giuseppe Conte qualsiasi e infatti, sono ben visibili le differenze fra il Governo attuale e i due esecutivi presieduti dal capo politico del Movimento 5 Stelle.  La premier ha tenuto a sottolineare la propria distanza, politica ed umana, dal leader pentastellato perché anzitutto la numero uno di Palazzo Chigi sa bene cosa fanno ogni giorno tutti i ministri, condivide il loro operato e non ricorre a vigliacchi distinguo quando la situazione diventa un poco più complicata, che si tratti del caso Almasri o di qualunque altra vicenda. A differenza, proprio, di Giuseppe Conte, il quale mai si oppose, al primo incarico di Presidente del Consiglio, alle scelte del “suo” ministro dell’Interno Matteo Salvini, salvo fare finta di non conoscerlo in una fase successiva perché bisognava abborracciare l’alleanza con il Partito Democratico e il Conte bis, e alcune Procure si erano già mobilitate contro l’ex titolare del Viminale e leader leghista.

Ma le dissomiglianze fra Meloni e Conte sono molteplici e spicca in particolare la politica estera. Non abbiamo dimenticato la politica contiana dei due forni, che in Italia non è stata usata solo dalla Democrazia Cristiana. Il forno americano del “primo” Donald Trump, al quale Giuseppi si rivolgeva con deferenza per non farlo arrabbiare più di tanto, e il forno cinese di Xi Jinping, tenuto in attenta considerazione dall’ex premier Conte per ammirazione e affinità ideologica. I governi Conte cercavano da un lato di non inimicarsi troppo gli Stati Uniti e dall’altro lavoravano però con l’obiettivo di avvicinare sempre più l’Italia alla sfera geopolitica e commerciale della Cina. Con Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, l’Italia è stata l’unica Nazione europea ed occidentale a sottoscrivere la cosiddetta Via della Seta, la Belt and Road Initiative, iniziativa strategica della Repubblica popolare cinese per il miglioramento, così in teoria, dei suoi collegamenti commerciali con i Paesi dell’Eurasia. Non ha rappresentato una coincidenza, durante la pandemia, il fatto che il nostro sia stato il Paese che più di tutti gli altri partner occidentali ha utilizzato pedissequamente le misure già adottate da Pechino contro il Covid-19.

Conte è stato ed è il China Party in Italia, e adesso, trovandosi alla opposizione e non essendo più costretto da responsabilità di governo a simulare in contemporanea una sintonia anche con gli USA, ha gettato in maniera completa la maschera e si rivela per quello che è in realtà, ovvero, un anti-italiano ed anti-occidentale che guarda a tutto ciò che nel mondo si contrappone alle democrazie, (Cina, Russia ed altro). Gli artigli del Dragone non si sono certo allungati in Italia e in Occidente solo a causa dei governi di Conte, ma tutti i fautori di una globalizzazione squilibrata che ha ingrassato a livello economico la Cina, le sinistre, i liberal d’oltreoceano, i tecnocrati alla Romano Prodi, un altro ex premier italiano per nulla rimpianto dalla Penisola, esaltatore della Repubblica popolare come terra di sole opportunità, hanno contribuito a diffondere nel pianeta l’influenza della dittatura comunista di Xi Jinping. La destra conservatrice e patriottica di Giorgia Meloni, che governa l’Italia da quasi tre anni, si è posta sin dall’inizio come alternativa alle pericolose effusioni filocinesi di Conte, Prodi e simili. Uno dei primi atti del Governo Meloni è stato quello di togliere la firma italiana dalla Via della Seta, uno strumento pensato da Pechino, non solo per migliorare gli scambi commerciali, ma per trasferire piano piano la sovranità sui porti italiani dalla nostra Repubblica a quella popolare cinese.

Adesso, come ha riportato Bloomberg, il Governo sta valutando piani per limitare le partecipazioni di investitori cinesi in aziende italiane considerate strategiche, sia private che controllate dallo Stato. L’attenzione è rivolta principalmente alle grandi società operanti in settori strategici come l’energia, i trasporti, la tecnologia e la finanza. Per fare degli esempi, l’impresa statale cinese Sinochem International detiene il 37% di Pirelli, ma vi sono anche investitori del Dragone in Cdp Reti e Ansaldo Energia, tramite la Shanghai Electric. Le aziende stanno già facendo, per così dire, da sole al fine di tutelarsi dalle partecipazioni cinesi. Il cda di Pirelli ha declassato lo status di governance di Sinochem e in Ansaldo Shanghai Electric ha dovuto ridurre in modo drastico la propria presenza, dal 40% allo 0,5. C’è il nodo delle restrizioni negli Stati Uniti per le imprese partecipate da player statali cinesi e Pirelli, Ansaldo ed altre grandi società italiane non hanno intenzione di subire esclusioni in un mercato chiave come quello americano. Dagli USA hanno fatto sapere a Pirelli che i suoi pneumatici dotati di sensori cibernetici potrebbero andare incontro a restrizioni perché in America si sta ricorrendo a misure severe verso il software e l’hardware delle aziende controllate dalla Cina nel settore dei veicoli connessi.

Questo, per sbarrare la strada alla raccolta fraudolenta di dati. Ma il Governo Meloni, che già nel 2023 ha utilizzato il golden power per contenere l’influenza di Sinochem in Pirelli, vuole fare la propria parte, non per dichiarare illegale ogni affare economico fra l’Italia e la Cina, bensì, per spingere  le mire cinesi all’interno di un perimetro di sufficiente sicurezza per la nostra sovranità nazionale. E’ ben noto che le grandi società cinesi, a differenza di quelle occidentali, rispondano direttamente al potere politico, costituito dal Partito Comunista e dal presidente Xi Jinping, e che esso usi l’espansione economica nel mondo per obiettivi anche geopolitici e militari, e non solo dettati dal puro business. Ci si può muovere con tutta la realpolitik possibile, che a volte è necessaria per carità, ma non si può raccontare, come pure hanno provato a fare in tanti anni personaggi come Romano Prodi, che il regime del PCC sia un amico sincero dell’Italia e dell’Occidente. Soprattutto in tempi abbastanza recenti, la Cina ha chiarito di non volersi accontentare del solo commercio globale, peraltro spesso squilibrato a suo favore, ma di pretendere di agire come potenza politico-militare.

E non ha nascosto di avere progetti che sono in netta contrapposizione con quelli occidentali. Citiamo, in pillole, le scelte contemporanee di una Cina alla quale non basta più la globalizzazione economica: la violazione ormai consumata della speciale autonomia di Hong Kong, le minacce rivolte a Taiwan e l’appoggio, costituito da forniture di tecnologie militari, alla guerra di Vladimir Putin in Ucraina. Sono vitali, quindi, per l’Italia e l’Occidente, distanza e diffidenza nei confronti della Cina.

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Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

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