Il “metodo sovietico” nelle piazze italiane: agit-prop, disinformazione e minaccia ibrida

Dalla strategia sovietica all’algoritmo: come le cause umanitarie diventano leve per delegittimare i governi

Le proteste filo-palestinesi degli ultimi mesi non sono soltanto espressione di dissenso: sono il punto d’incontro tra una mobilitazione permanente ereditata dalle tecniche novecentesche dell’agit-prop e le nuove armi della guerra ibrida — reti digitali, disinformazione e interessi geopolitici esterni. La Relazione 2025 dell’intelligence mette nero su bianco ciò che la cronaca mostra in piazza: slogan, simboli e violenze che non solo raccontano una crisi internazionale, ma provano a logorare la tenuta del governo italiano.

Nel 1902, in Che fare?, Lenin scriveva che il compito del rivoluzionario non è limitarsi alle rivendicazioni economiche, ma diventare “tribuno del popolo”, capace di sfruttare ogni ingiustizia sociale per agitare, politicizzare, mobilitare. È la nascita della logica dell’agit-prop: un metodo di azione politica basato sulla perenne agitazione, anche sfruttando cause non direttamente collegate al nucleo ideologico del partito, per logorare il potere costituito.

Questa dinamica, ripresa e perfezionata nel Novecento dal Comintern e da propagandisti come Willi Münzenberg, ha funzionato come architrave delle campagne di destabilizzazione sovietiche: trasformare lotte apparentemente spontanee – pacifiste, anticoloniali, antimilitariste – in strumenti di pressione permanente sui governi occidentali.

Oggi, in un contesto globale di minacce ibride e competizione tra potenze, quelle logiche riaffiorano. Le piazze italiane diventano teatro di una mobilitazione che richiama da vicino il “metodo sovietico”.

Il quadro dell’Intelligence: la Relazione 2025

La Relazione annuale sulla politica dell’informazione per la sicurezza, presentata al Parlamento nel febbraio 2025, fotografa con chiarezza la trasformazione delle proteste italiane.

A pagina 16 si legge:

“La mobilitazione in solidarietà del popolo palestinese si è infatti progressivamente qualificata come il principale connettore del dissenso, manifestandosi in diverse iniziative di piazza indipendentemente dalla rivendicazione specifica. All’indomani dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, la propaganda antagonista ha progressivamente radicalizzato i toni della protesta, in un crescendo di contestazioni che in varie occasioni hanno fatto registrare episodi di vandalismo e di scontri violenti con le Forze dell’ordine” .

Non solo. Lo stesso capitolo evidenzia il ruolo degli estremismi ideologici:

“Gli ambienti dell’estremismo marxista-leninista, già attivi nel supporto alla ‘resistenza dei popoli oppressi da mire imperialistiche’, hanno ulteriormente rilanciato l’attivismo antimilitarista, anti-atlantista e a sostegno dei ‘prigionieri politici’, in sinergia con i circuiti internazionali d’area” .

È una descrizione che richiama direttamente la prassi sovietica: cause internazionali trasformate in strumenti di lotta interna, con il fine ultimo di delegittimare il governo.

La dimensione ibrida: Russia e Iran

Il documento dedica ampio spazio alle campagne di disinformazione russe, identificate come la principale direttrice geopolitica di interferenza:

“La disinformazione russa… si è confermata quale principale direttrice dell’azione straniera di manipolazione delle informazioni e di interferenza (FIMI) ai danni delle istituzioni e delle comunità occidentali, svolta prevalentemente in ambiente digitale” .

Mosca ha sfruttato le elezioni europee e la Presidenza italiana del G7 del 2024 per diffondere narrazioni delegittimanti, amplificate da movimenti antagonisti e canali digitali .

Quanto all’Iran, la Relazione (pp. 92–93) sottolinea come Teheran utilizzi la crisi di Gaza e i rapporti con Hezbollah per rafforzare la propria influenza regionale, con effetti indiretti anche in Europa. Pur non parlando di un ruolo diretto nelle piazze italiane, la convergenza strategica con le campagne di radicalizzazione è evidente.

Dalla teoria alla cronaca: Roma, ottobre e oltre

Le cronache delle ultime settimane mostrano il legame tra teoria, intelligence e piazza.

  • Roma, cortei filo-palestinesi: striscioni con scritto “7 ottobre giornata della resistenza palestinese”.
  • Bandiere di Hamas e Hezbollah esposte nelle manifestazioni.
  • Minacce dirette al governo: uno striscione recitava “Meloni, Salvini e Tajani farete la fine di Mussolini”, portando alla denuncia di un manifestante dopo le polemiche di Fratelli d’Italia.

Sono fatti concreti, verificabili, che confermano le analisi dei Servizi: radicalizzazione dei toni, appropriazione della causa palestinese da parte di circuiti antagonisti, saldatura tra protesta internazionale e delegittimazione politica interna.

Il ritorno del “metodo sovietico”

Non si tratta di proteste “telecomandate” da Mosca o Teheran. Ma il modello operativo è simile:

  1. Mobilitazione permanente attorno a una causa universale (ieri il pacifismo, oggi la Palestina).
  2. Infiltrazione ideologica da parte di gruppi estremisti che legano la protesta a un’agenda interna (anti-NATO, anti-governo).
  3. Amplificazione esterna tramite campagne di disinformazione e sostegno politico implicito di attori ostili all’Occidente.

È un metodo sovietico aggiornato all’era digitale: meno centralizzato, più frammentato, ma con la stessa logica di fondo. Creare instabilità, logorare la fiducia nelle istituzioni, far percepire i governi come incapaci di garantire ordine e stabilità.

Italia nel mirino: perché colpire il governo Meloni

La Relazione 2025 e le analisi geopolitiche convergono su un dato: l’Italia non è un Paese qualsiasi nel quadrante euro-mediterraneo. È un alleato centrale della NATO e dell’Unione Europea, con una linea chiaramente filo-atlantica ribadita dal governo Meloni. Roma ha garantito continuità negli aiuti militari all’Ucraina e nelle sanzioni a Mosca, posizionandosi come partner affidabile di Washington e di Bruxelles. Questo basta a farne un obiettivo per le campagne di influenza russe, volte a minare la coesione occidentale.

Allo stesso tempo, dopo il 7 ottobre 2023, il governo italiano si è distinto per il sostegno a Israele, assumendo una postura netta che irrita l’Iran e i suoi proxy. La causa palestinese diventa così lo strumento perfetto per alimentare tensioni interne, trasformando la solidarietà in arma politica contro l’esecutivo.

Ma c’è un ulteriore livello: l’Italia sta rilanciando il proprio ruolo nel Mediterraneo e in Africa con il Piano Mattei, che mira a ridurre la dipendenza energetica da Russia e Cina, rafforzando invece i legami con partner africani e con l’Occidente. Questo progetto mina interessi consolidati di Mosca e Teheran, che vedono nella penisola il “ventre molle” su cui esercitare pressione.

Il risultato è una combinazione di fattori – sostegno all’Ucraina, vicinanza a Israele, proiezione mediterranea – che rende l’Italia un obiettivo ideale di operazioni di destabilizzazione.

Colpire il governo Meloni significa colpire un tassello strategico dell’architettura occidentale.

Resta aggiornato

Invalid email address
Promettiamo di non inviarvi spam. È possibile annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.
Leo Valerio Paggi
Leo Valerio Paggi
Leo Valerio Paggi per La Voce del Patriota.

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.