Tre anni fa il Modavi, affermato ente del terzo settore in attività dal 1996, distintosi in importanti attività sociali in Italia e nei paesi più estremi del mondo, organizzò una spedizione umanitaria sul confine ucraino. Con l’aiuto di alcuni volontari di Gioventù Nazionale, nelle settimane precedenti alla partenza, raccolse importati quantità di beni di prima necessità, farmaci e alimenti. L’obiettivo della spedizione era consegnare i beni in due diverse località poste lungo il confine tra la Romania e l’Ucraina, trasformate in hub per il soccorso, l’accoglienza e lo smistamento verso paesi terzi dei profughi ucraini. La guerra era scoppiata da pochi mesi, le atrocità perpetrate dai russi si sarebbero viste solo dopo pochi mesi, le città ucraine stavano cominciando a svuotarsi delle loro donne e dei loro bambini, per lasciare gli uomini alla guerra. A Sighetu Marmației, cittadina rumena percorsa dal fiume Tibisco che divide la Romania dall’Ucraina, l’organizzazione della missione aveva noleggiato un pullman per accompagnare i profughi in Italia. Infatti, oltre il Tibisco, vi era l’insediamento rurale di Solotvyno, capolinea ferroviario della tratta dei profughi in fuga da Leopoli, metropoli ucraina bombardata nei giorni della spedizione. Migliaia di ucraini, nei giorni precedenti, avevano già valicato il confine su quel punto, nella speranza di poter raggiungere zone meno calde d’Europa, magari ricongiungendosi con parenti lontani, usufruendo dei passaggi offerti dalle organizzazioni umanitarie che nel frattempo avevano allestito un campo base proprio aldilà della frontiera ucraina.
Il giorno della partenza ci mettemmo in viaggio sul presto, ognuno con uno zaino ingombrante issato sulla spalla. L’eccitazione era la tipica di ogni grande avventura. L’emozione tanta da far perdere la concentrazione. La direzione è tutta ad Est, verso il confine ucraino. Ogni viaggio è accompagnato da una generosa dose di retorica, quella per cui si scopre stessi sfidando l’ignoto o il diverso. Ma stavolta è diverso. Stavolta è tutto concreto, tremendamente reale, ogni sofismo ridondante e innaturale. L’unica cosa da fare è vivere con sincerità quel viaggio e quelle emozioni facendosi persino sopraffare.
Siamo abituati a credere che qualsiasi sentimento, anche quello politico, si instilli attraverso la chiave delle emozioni. Emozionare ed emozionarsi per vivere con piena adesione ciò che ci circonda: persone, valori, idee. Affinché qualcosa duri e ti cambi la vita, è necessario che ti bruci dentro.
Tre anni dopo quel lungo viaggio, che ci ha illusi di prendere finalmente parte al corso della storia, il mondo è un po’ cambiato. L’Italia ha guardato finalmente a Destra, gli USA sono tornati a ruggire con forza. Vecchi conflitti sono tornati protagonisti della scena, con la loro scia di distruzione e morte.
Però, dopo tre anni ciò che bruciava dentro, brucia ancora. Ancora oggi l’ideale di libertà che abbiamo costruito tra le piazze di Praga e le vie di Budapest, passa per le campagne ucraine, dove figli d’Europa, come noi, muoiono ammazzati. E qui la speranza che un’Europa forte e sicura impedisca che quelle campagne diventino la merce disonorata di uno scambio tra gli invasori russi ed altre potenze.