Il PD affonda nei suoi scandali: corruzione e clientele da Milano alle Marche

Il Partito Democratico è di nuovo nella bufera, e stavolta la tempesta non è solo mediatica: è giudiziaria, politica e morale. Uno tsunami di inchieste che da Milano alle Marche sta facendo a pezzi la narrazione di un partito che predica bene, ma razzola — sempre più spesso — nel torbido.

Nelle Marche, l’indagine che ha travolto il consigliere regionale Renato Claudio Minardi parla chiaro: corruzione, indebita percezione di fondi pubblici e malversazione. Non quisquilie: si parla di 300.000 euro di fondi europei per l’agricoltura, che invece di sostenere gli apicoltori, avrebbero alimentato un sistema fatto di false dichiarazioni, favoritismi e pratiche opache. Minardi, già coordinatore dei consorzi apistici e membro della commissione Agricoltura, avrebbe sfruttato il proprio ruolo per pilotare i finanziamenti. Altro che difesa dell’ambiente e dell’agricoltura biologica: qui siamo dalle parti del solito feudo clientelare in salsa progressista.

E mentre nelle Marche si scoprono le mani sporche sotto i guanti bianchi, a Milano l’aria non è meno pesante. L’inchiesta “Mattone Gate”, che ha travolto l’amministrazione Sala, ha portato sei arresti eccellenti, tra cui l’ex assessore Tancredi e il CEO di Coima Catella. L’accusa? Un sistema di varianti urbanistiche ad uso e consumo di costruttori amici, mascherate da interesse pubblico. Urbanistica creativa, sì, ma a senso unico: quello del profitto privato, sulle spalle dei cittadini. Sala e Boeri, pur non più indagati, escono politicamente azzoppati da un’inchiesta che ha svelato un mondo in cui il confine tra politica e affari è sempre più sfocato.

Il risultato è un’immagine devastante: un partito sfiancato, in perenne contraddizione tra i proclami di etica e le pratiche da Prima Repubblica. Con buona pace della famosa “questione morale” di berlingueriana memoria, che oggi sembra ridotta a slogan da convegno.

Ma non tutto è marcio: mentre il PD annaspa, nelle Marche c’è chi lavora, con coerenza e pulizia. Il nome è quello di Francesco Acquaroli, candidato di Fratelli d’Italia alla presidenza della Regione. Arianna Meloni lo ha definito “un politico con le scarpe sporche di fango, ma le mani pulite”, una frase che vale più di mille comunicati. Perché oggi serve esattamente questo: gente che cammina tra la gente, che si sporca le mani per lavorare, non per arraffare.

È tempo di scegliere. Tra chi predica e chi fa. Tra chi promette trasparenza e chi la vive ogni giorno. Tra chi, in silenzio, costruisce. E chi, nel rumore degli scandali, continua a distruggere.

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