Il Pd di Schlein perde ovunque: il “campo largo” non esiste

I numeri parlano chiaro. Dal 2022 il centrosinistra su 14 Regioni in cui si è votato ha subito 12 sconfitte e di queste 8 sono state con il Pd a guida Elly Schlein.

Ma non è tutto. Se si torna indietro nel tempo, fino al 2019 quando per la prima volta, in occasione delle elezioni Regionali in Umbria (quelle vinte dalla leghista Donatella Tesei), Pd e M5S presentarono per la prima volta un candidato comune, le sconfitte del cosiddetto ‘campo largo’ sono state 11 su 14. Le uniche vittorie dei “giallorossi” sono state soltanto in Emilia-Romagna (dove la sinistra vincerebbe anche se candidasse un manichino), in Umbria (l’unica decente) e in Sardegna (per una manciata di voti. Nell’Isola, molti probabilmente, in assenza del voto disgiunto, Alessandra Todde non sarebbe mai stata eletta. Per il resto, il ‘campo largo’ ha sempre perso con almeno 10-20 punti di distacco. L’unica sconfitta di misura è arrivata in Liguria, dove però l’ex governatore Toti era finito al centro di un’inchiesta giudiziaria, ma nonostante ciò il centrodestra è riuscito a vincere.

A breve il centrosinistra vincerà, o meglio si terrà anche la Toscana, la Puglia e, stando ai sondaggi, molto probabilmente anche la Campania. Il Veneto, invece, dovrebbe restare al centrodestra. L’attuale dirigenza Pd, probabilmente, si giustificherà sostenendo che le Regioni in cui ha vinto sono più popolose di quelle che avrà perso ed eviterà di fare un mea culpa per non essere riuscita a espugnare il Veneto. Il fatto che il centrosinistra non governi nessuna Regione del Nord, ad eccezione dell’Emilia Romagna, invece, dovrebbe portare a una riflessione. Finirà 3 a 3 ed Elly Schlein chiederà ugualmente le dimissioni di Giorgia Meloni, anche se qualcuno a sinistra (vedi i riformisti) inizia già a chiedere le sue. 

In realtà, a dimettersi dovrebbe essere anche Giuseppe Conte. Anche in questa tornata elettorale, infatti, il M5S non supera il 10% e ciò significa che il radicamento territoriale promesso anni fa non è ancora arrivato. Ma non solo. È stata smentita anche la teoria secondo cui i pentastellati si mobilitano maggiormente quando il candidato presidente è il loro. Non è bastato schierare un pezzo da 90 come l’eurodeputato Pasquale Tridico, ex presidente dell’Inps e ‘padre’ del reddito di cittadinanza. I tanti errori accumulati in campagna elettorale gli sono stati fatali: dal numero delle province sbagliato alle promesse alla ‘Cettolaqualunque’ per finire con il mancato trasferimento della residenza. Volendo fare una battuta si potrebbe dire che Tridico ha perso per una manciata di voti: il suo e quello dei calabresi che non hanno percepito il reddito di cittadinanza… La verità è che il ‘campo largo’ somiglia sempre più a un ‘campo santo’ e i cittadini, dopo le esperienze fallimentari di Virginia Raggi a Roma e Chiara Appendino a Torino, sanno che i Cinquestelle non sono dei buoni amministratori. Ovunque abbiano governato, gli amministratori targati M5s non sono mai stati riconfermati. Un motivo ci sarà? Forse gli elettorari lo hanno scoperto e, perciò, non li votano…

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