Il suo nome è risuonato con forza al Knesset, quando Donald Trump, con fare ironico ma eloquente, l’ha citata davanti al parlamento israeliano: “Ha 60 miliardi e ama Israele”.
Miriam Adelson non è solo quello di una grande donatrice, è il simbolo di una rete di influenza che da anni unisce il mondo politico conservatore americano e le leadership israeliane.
Nel giorno in cui si celebrava la tregua tra Israele e Hamas, Trump ha scelto di ringraziarla pubblicamente, ribadendo il suo ruolo di figura chiave nel panorama pro-Israele.
Dalla medicina al potere economico
Nata nel 1945 a Tel Aviv da genitori ebrei polacchi, Miriam Farbstein Adelson ha costruito i suoi primi passi lontano dalla politica. Laureata in medicina, si è specializzata nella cura delle dipendenze da droghe, diventando una professionista stimata tra Israele e Stati Uniti.
La svolta è arrivata con l’incontro e poi il matrimonio con Sheldon Adelson, magnate del settore dei casinò e del turismo internazionale. Insieme, hanno creato una delle fortune private più grandi al mondo e costruito nel tempo un profilo politico molto definito: conservatore, filo-israeliano, vicino ai repubblicani americani.
Dopo la morte di Sheldon nel 2021, Miriam è diventata la principale erede e custode dell’impero economico della famiglia, assumendo anche un ruolo pubblico sempre più centrale. Oggi, la sua ricchezza personale è stimata intorno ai 60 miliardi di dollari.
Una donatrice con visione politica
Miriam Adelson non è una semplice donatrice del Partito Repubblicano, negli ultimi anni è diventata uno dei volti più influenti del finanziamento politico negli Stati Uniti, sostenendo con forza Donald Trump sin dalla sua prima campagna presidenziale e, secondo diverse stime, ha contribuito con oltre 100 milioni di dollari alla sua rielezione nel 2024 attraverso il super PAC “Preserve America”.
La sua attività filantropica e politica si muove lungo due direttrici: rafforzare il legame tra Washington e Gerusalemme e promuovere politiche conservatrici all’interno degli Stati Uniti. La sua influenza è tale che molti analisti la considerano una delle figure non istituzionali più potenti nel determinare le priorità della destra americana.
Il legame con Israele e il ruolo dietro le decisioni di Trump
Il suo nome è strettamente associato a due delle scelte più simboliche della scorsa presidenza Trump: il trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme e il riconoscimento della sovranità israeliana sulle alture del Golan. Decisioni che, secondo molti osservatori, non sarebbero state così rapide senza la pressione e l’influenza del network politico ed economico che fa capo agli Adelson.
Per questo la sua presenza al Knesset non è stata casuale: Trump, citandola pubblicamente ne ha voluto riconoscerne il peso e consolidare quel rapporto diretto con una parte significativa della comunità pro-Israele negli Stati Uniti.
Un simbolo della diplomazia informale
Adelson rappresenta perfettamente una forma moderna di potere: non eletta, non ufficiale, ma capace di orientare agende politiche e strategiche, non siede a tavoli di governo, ma influenza chi a quei tavoli decide. La sua figura incarna quella zona grigia, ma potentissima, della diplomazia privata, in cui capitali, convinzioni politiche e relazioni personali si intrecciano con le scelte di politica estera.
Non sorprende quindi che la sua citazione da parte di Trump abbia suscitato applausi in Israele e attenzione negli ambienti politici statunitensi. Dietro al nome della Anderson , infatti, si muove una rete di fondazioni, centri di ricerca, gruppi di pressione e finanziamenti che, negli ultimi anni, hanno contribuito a definire una parte della strategia americana in Medio Oriente.
Tra critiche e ammirazione
La figura di Miriam Adelson divide, per i suoi sostenitori, rappresenta un esempio di coerenza e determinazione, capace di difendere con forza Israele e i valori conservatori. Per i suoi detrattori, è l’emblema dell’influenza eccessiva dei grandi donatori privati sulla politica estera americana.
Lei, però, non ha mai nascosto la sua visione: la sua forza non risiede solo nella ricchezza, ma nella capacità di usare quella ricchezza per costruire consenso e incidere concretamente su decisioni strategiche. E nel farlo, è diventata una protagonista silenziosa ma decisiva dello scenario internazionale.