Affluenze in calo e quorum mancati: l’analisi di una crisi partecipativa e le ipotesi per salvare la democrazia diretta in Italia.
L’ultimo referendum conferma la crisi di partecipazione che investe molti referendum
L’8 e 9 giugno 2025 gli italiani sono stati chiamati alle urne per esprimersi su cinque quesiti referendari, uno sulla cittadinanza e quattro su lavoro e sicurezza. Tuttavia, l’affluenza si è fermata intorno al 30%, ben lontana dal quorum del 50% più uno previsto dalla Costituzione. I quesiti sono dunque risultati non validi. Un esito che alimenta la riflessione sullo stato di salute dell’istituto referendario e sul suo ruolo nella democrazia contemporanea.
Un antecedente fondamentale: il referendum del 1946
Prima ancora dell’introduzione del referendum nella Costituzione, gli italiani furono chiamati a una scelta storica: 2 e 3 giugno 1946, referendum istituzionale per decidere tra monarchia e repubblica. Votò l’89% degli aventi diritto: il 54,3% scelse la Repubblica. Fu il primo voto a suffragio universale in Italia.
Questo evento, pur non ancora regolato dalla Costituzione, rappresenta un momento simbolico altissimo di partecipazione popolare e aprì la strada alla stagione costituente e alla democrazia diretta.
Breve inquadramento storico e costituzionale
L’istituto del referendum popolare fu inserito nella Costituzione italiana del 1948 come forma di partecipazione diretta del popolo alle decisioni legislative. L’articolo 75 della Costituzione disciplina il referendum abrogativo, specificando che può essere richiesto da 500.000 elettori o da cinque Consigli regionali, e ha effetto solo se partecipa alla votazione la maggioranza degli aventi diritto.
I primi referendum si tennero nel 1974 (sul divorzio) e nel 1978 (sull’aborto): entrambi toccarono temi etici fortemente sentiti e registrarono altissime affluenze. Quei momenti costituirono l’apice della capacità del referendum di rappresentare la volontà popolare.
Referendum con mancato raggiungimento del quorum
Negli ultimi decenni, tuttavia, il numero di referendum invalidati per mancato raggiungimento del quorum è cresciuto sensibilmente:
– 1990 (8 quesiti): affluenza al 43%, tutti invalidi.
– 1995 (12 quesiti): solo 1 raggiunse il quorum.
– 2003 (articolo 18): affluenza al 25,7%.
– 2005 (procreazione assistita): affluenza al 25,9%.
– 2009 (legge elettorale): affluenza al 23%.
– 2016 (trivelle): affluenza al 31%.
– 2022 (giustizia): affluenza media al 20,9%.
– 2025 (lavoro e cittadinanza): affluenza stimata al 30%.
Il dato è evidente: la partecipazione è in costante calo, e con essa l’efficacia politica dell’istituto.
Il declino dell’efficacia referendaria
Negli ultimi anni, diversi sondaggi hanno mostrato un calo preoccupante della consapevolezza e della partecipazione popolare ai referendum:
– Nel 2025, in occasione dei referendum su cittadinanza e lavoro, un sondaggio Demopolis stimava un’affluenza tra il 31% e il 39%, e solo il 46% degli italiani era consapevole del voto.
– Nel 2022, prima dei cinque referendum sulla giustizia, Ipsos segnalava che solo il 56% dei cittadini ne era informato; Termometro Politico rilevava che appena il 32,6% era certo di andare a votare.
– Nel 2005, sul tema della procreazione assistita, i sondaggi indicavano fino al 65% di favorevoli all’abrogazione, ma la partecipazione si fermò al 25,9%, rendendo nullo l’esito.
– Solo nel 2020, durante il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, il 72% degli italiani si dichiarava informato: l’affluenza superò il quorum.
Questi dati confermano una tendenza: quando i cittadini non vengono coinvolti o informati adeguatamente, il referendum perde la sua forza propulsiva e si trasforma in un’occasione mancata.
È dunque fondamentale sottolineare la responsabilità dei promotori del referendum, che dovrebbero comunicare in modo chiaro ed efficace le ragioni della proposta, promuovere il dibattito pubblico e attivare iniziative di partecipazione civica. Solo così il referendum potrà recuperare il suo ruolo di strumento autentico di democrazia diretta.
Proposte di riforma dell’istituto referendario
Diverse sono le ipotesi avanzate negli anni per superare lo stallo attuale:
1. Abolizione o abbassamento del quorum: ad esempio, portarlo al 30% oppure legarlo solo alla maggioranza dei votanti.
2. Referendum propositivi e confermativi: ampliare le forme di democrazia diretta previste dalla Costituzione.
3. Digitalizzazione del voto: introdurre modalità telematiche per facilitare la partecipazione.
4. Incentivi alla partecipazione: come l’istituzione di “giornate civiche” per informare la popolazione.
5. Obbligo di informazione pluralista nei media pubblici e scolastici.
Alla luce della crisi di partecipazione che investe molti referendum e dell’inefficacia di molti referendum recenti, le proposte di riforma assumono un’importanza strategica. In particolare, il rafforzamento della comunicazione e della partecipazione civica dovrebbe essere considerato un asse portante di ogni intervento. Non basta ridurre gli ostacoli formali: occorre anche promuovere una cultura politica che responsabilizzi i promotori e faciliti l’accesso consapevole dei cittadini al dibattito referendario.
E ora, la parola ai lettori
Il referendum resta, almeno sulla carta, uno strumento prezioso di democrazia diretta. Ma alla luce dei dati e delle tendenze attuali, può ancora funzionare così com’è?
– Secondo voi, è giusto mantenere l’attuale quorum o andrebbe rivisto?
– Come possiamo incentivare una partecipazione più informata e consapevole?
– E, soprattutto, sentite ancora il referendum come uno strumento vostro, capace di incidere davvero? Partecipa al dibattito nei commenti o condividi questo articolo: la democrazia inizia da una domanda.
Ma forse un quorum sul voto e non sui votanti potrebbe avere piú incidenza sull’astensionismo.
E la digitalizzazione del voto faciliterebbe la partecipazione del cittadino. Dubito ci sarebbe una riduzione della spesa, che andrebbe virata sulla gestione del digitale. La cittadinanza dovrebbe prepararsi in tempo utile con l’identità digitale, e gli anziani potrebbero essere penalizzati, l’Italia è comunque un paese con un’età media abbastanza alta
REFERENDUM AMMONTONATI: NORMATIVA DA RIPENSARE
Proporre più Referendum in uno stesso giorno è una strategia politica nefasta: permette di scegliere ad arte quesiti che, coinvolgendo ognuno anche poca parte dei Cittadini,possano poi insieme generare una affluenza maggiore del 50%. Il quorum di ogni singolo Referendum è quindi drogato dalla contestualità con gli altri. Per difendersi da questa strategia subdola occorre indire i Referendum uno alla volta. Meglio sarebbe evitare di allestire le urne e consentire il voto ai Cittadini nei propri Comuni di residenza in appositi locali in presenza di un Ufficiale Comunale, cosi’ da concedere 2 settimane di tempo per ogni quesito. L’elettore per esprimere la propria opinione su più quesiti dovrà recarsi in Comune più volte. Superato il Quorum e la Maggioranza richiesti,qualunque siano,l’abrogazione a la emanazione delle Leggi proposte deve inoltre essere confermata da un successivo voto delle Camere. Sarebbe utile inoltre esonerare i Referendum dal rituale sacro che obbliga i Cittadini al silenzio elettorale.
Viva l’Italia di quelli che ci credono.