Ci si addentri nel merito del metodo anche se, in tutta evidenza, tali questioni non sembrerebbero suscitare interesse alcuno.
E questo, lasciatemelo dire, è un segno di quel progressivo scadimento del servizio offerto dagli analisti, di ogni fede o credo politico, a cui assistiamo quotidianamente.
Si discute solo ed esclusivamente delle conseguenze, lanciandosi in previsioni, o in predizioni, frutto dei propri più intimi desiderata, condizionati da un tifo acritico, privo di profondità e spessore. Cercasi onestà intellettuale, disperatamente direi.
Draghi ha rassegnato le dimissioni e Mattarella le ha rifiutate: è un fatto, un dato, che necessita di essere compreso e tabulato con attenzione. Il Presidente della Repubblica non si è opposto allo scioglimento delle Camere, non si è messo di traverso, non ha prolungato l’agonia dell’esecutivo draghiano, ma ha ridato dignità e valore alla funzione parlamentare. Qualcuno trasalirà leggendo simili considerazioni: proviamo, pertanto, ad argomentarle con rigore espositivo.
Tocca ai nostri rappresentanti, eletti dai cittadini, assumersi questa responsabilità. Per una volta, dopo averlo invocato per mesi, il Parlamento è chiamato a decidere e a incidere sul corso degli eventi. Non potrà nascondersi, non gli sarà concessa la via facile, e sterile, della lamentela bambinesca. Dentro o fuori, a favore o contro, ricomposizione o frattura: si giocherà a carte scoperte, finalmente. Il popolo italiano osserverà, giudicherà e trarrà le considerazioni del caso. Mercoledì, indipendentemente dall’esito, sarà l’occasione per dirimere controversie antiche, per gettare la maschera, per farla finita con teatrini stucchevoli. La questione non è nemmeno la volontà di Draghi, o meno, di dare seguito all’esperienza governativa: si deve avere il coraggio di ammetterlo con trasparenza, evitando di accampare scuse ridicole e insincere. Draghi ha dato prova di grande serietà e bisogna ammetterlo.
Il punto è l’operato, l’identità, la proposta e la visione politica dei partiti italiani, nonché dei leader da cui vengono guidati. Che cosa vorranno fare da grandi? Una vaga idea di centrodestra esiste ancora? Si è già conclusa la luna di miele tra PD e M5S? Emergeranno posizioni altre finora non esplicitate, magari da un universo centrista, misteriosa incognita da decifrare? Mattarella ha ributtato la palla dall’altra parte del campo, respingendo quel ruolo di santo o peccatore che in molti continuano a tentare di cucirgli addosso.
Il compito dell’inquilino del Quirinale è quello di ergersi a difesa della Carta, non di svolgere la funzione di badante di una classe politica in affanno, incerta e paurosa, clamorosamente inconcludente. La decisione di Mattarella è ineccepibile dal punto di vista del metodo, improntata a un grande rispetto delle prerogative parlamentari. Meriterebbe elogi e apprezzamenti per il servizio reso allo svelamento delle reali intenzioni dei differenti soggetti politici coinvolti. Il diniego presidenziale getta luce, mettendo in bella mostra contraddizioni, ambiguità e ipocrisie trasversali a tutti i partiti assisi ai banchi governativi. Affidarsi alla saggezza del Colle non giustifica deresponsabilizzazioni continue o pavidi nascondimenti nelle pieghe del disimpegno più assoluto.
Gli accorati appelli all’unità, le patetiche lettere aperte, le sfuriate di facciata e gli equilibrismi diffusi sono, invece, gesta tragicomiche tipiche di una classe politica immatura e terrorizzata, giunta ormai al capolinea.
Che la nostra classe dirigente decida di sé, insomma, smettendola di rincorrere popolarità, personalismi, luci e clamori, servendo il Paese con dedizione e coraggio, con serietà e coerenza, mantenendosi leale alla parola data. E che mostri maggiore rispetto per il ruolo istituzionale incarnato da Sergio Mattarella, evitando di tirare il Presidente per la giacchetta ad ogni piè sospinto.