Salario minimo sì o salario minimo no?
Questo il grande quesito posto all’attenzione degli italiani e che è tornato alla ribalta dopo la proposta di legge presentata dalle opposizioni agli inizi di luglio, sebbene il Governo avesse fermamente esposto la propria contrarietà sul tema.
Una contrarietà che non è una banale presa di posizione, ma che deriva da un’attenta analisi della realtà del lavoro in Italia.
Cerchiamo ora di sviscerare tutti gli aspetti della vicenda, andando a porre l’attenzione su diversi aspetti.
Partiamo dalla proposta firmata da M5s, Pd, Azione, Alleanza Verdi-Sinistra e Più Europa, con il quale si vorrebbe introdurre un salario minimo inderogabile di 9 euro all’ora, per tutti i tipi di lavoro, senza alcuna eccezione. L’opposizione vorrebbe anche istituire una Commissione tripartita, composta da rappresentanti del ministero del Lavoro, dell’Inps, dell’Istat e dell’Ispettorato nazionale del lavoro, oltre alle parti sociali più rappresentative, che avrà il compito di aggiornare periodicamente il trattamento economico minimo e monitorare la situazione. La proposta, soprattutto, fa leva sulla famosa direttiva Ue secondo la quale devono esserci salari minimi adeguati. Si dimentica però spesso che questo obiettivo può essere raggiunto sia attraverso il salario minimo legale sia attraverso la contrattazione collettiva a seconda, ovviamente, dei contesti nazionali di riferimento.
Secondo le opposizioni, inoltre, questa proposta sarebbe una tutela ‘aggiuntiva’ per il lavoratore. Ma per essere ‘aggiuntiva’ questa tutela dovrebbe essere inserita in un contesto adeguato, dove esistono tutte le condizioni necessarie affinché i lavoratori non vengano danneggiati. Il contesto italiano non presenta queste condizioni, e, a ben vedere, questa non è affatto una cattiva notizia.
Infatti, la contrattazione collettiva nel nostro Paese copre l’85-90% dei contratti di lavoro attualmente in essere. Il contratto collettivo, nello specifico, determina il contenuto essenziale dei contratti individuali di lavoro in un certo settore sia sotto il profilo economico che normativo, e fissa i cosiddetti minimi tabellari, stabilendo quindi la retribuzione minima spettante ai lavoratori garantiti dal contratto stesso.
Dunque, le tutele esistono già e, sebbene debbano essere ampliate e migliorate, non si vede la necessità di ribaltare completamente lo scenario del mondo del lavoro.
Perché, di base, tale ribaltamento comporterebbe in realtà una depauperazione dei lavoratori.
Il perché viene spiegato bene da Tito Boeri e Roberto Perotti in articolo pubblicato su Repubblica, nel quale sottolineano come il salario minimo sia una carta rischiosa da giocare: “Se il salario minimo è troppo basso è del tutto inutile mentre se è troppo alto rischia di far aumentare la povertà spingendo molti lavoratori verso la disoccupazione o il lavoro nero”.
In particolare, i due esperti portano alla luce come la proposta delle opposizioni si basi su “numeri fantasiosi e giustificazioni di questi numeri ancora più fantasiose”. E chiosano: “(Il salario minimo) è un esercizio pericoloso che, per procacciare un po’ di popolarità, può portare a distruggere il posto di lavoro di chi oggi è in posizione vulnerabile sul mercato del lavoro”.
Traduzione: il salario minimo viene sbandierato come la massima garanzia per i lavoratori, molti dei quali però con la sua introduzione diventerebbero più poveri. Insomma, non male se l’effetto della proposta cara a Conte e Schlein finirebbe per impoverire i lavoratori italiani che dichiarano di voler tutelare. L’ennesimo corto-circuito delle opposizioni.
Da parte sua invece il Governo Meloni, affrontando la questione del salario minimo, ha più volte dichiarato come questo strumento in Italia potrebbe diventare un parametro sostitutivo anziché aggiuntivo per le tutele dei lavoratori e ha proposto che per migliorare le condizioni nel mondo del lavoro sia necessario fare ben altro, applicando cioè una formula fatta di estensione e rafforzamento della contrattazione collettiva, anche nei settori attualmente non coperti, di contrasto alle discriminazioni e alle irregolarità, e di riduzione delle tasse sul lavoro.
Una formula che è stata messa in campo e che già sta dando i suoi frutti, grazie a misure ad hoc prese dal Governo, quali ad esempio il noto ddl Lavoro, che fra le altre cose grazie al taglio del cuneo fiscale è riuscito a rendere più piene le tasche degli italiani e ha fatto sì che aumentassero i contratti stabili e a tempo indeterminato.
Mentre le opposizioni continuano le loro battaglie ideologiche, senza alcun nesso con la realtà, il Governo Meloni in pochi mesi è riuscito a dare delle risposte concrete ai lavoratori, fornendo loro una maggiore tutela e stabilità anche sotto il profilo economico. Ancora una volta, le polemiche si confermano inutili e sterili e le azioni di questo esecutivo le mettono a tacere senza troppo rumore.