L’arroganza e la doppia morale in casa Pd, ogniqualvolta il partito della sinistra italiana risulta plasticamente in difetto, si manifestano con il silenzio. Che per loro è solo un modo di prendere il fiato prima di tornare a rilanciare, puntando il dito sempre contro gli avversari politici nel tentativo affannoso di sviare l’attenzione da sé. Morale? La “verità”, per i seguaci 2.0 del Socing orwelliano, è «fake news».
È capitato proprio così nel momento in cui Chiara Colosimo, combattiva consigliere regionale di FdI in Regione Lazio, ha letteralmente stanato l’entità della truffa a danno dell’ente pubblico e dei contribuenti con la vicenda grottesca dei milioni di mascherine “fantasma” acquistate – nei primi giorni di marzo 2020 – dalla Regione guidata da Nicola Zingaretti da una società specializzata in lampadine (sic) e arrivate solo in estate: quando il danno per gli operatori sanitari sforniti del materiale minimo per poter lavorare era fatto e lo spreco di denaro pubblico (ben 11 milioni) ormai conclamato.
Per mesi, nonostante le interrogazioni in Consiglio regionale e in Parlamento di FdI, nessuna risposta da parte del presidente ed ex segretario del Pd. Anzi, una risposta sprezzante c’è stata: abusando del portale social della Regione Lazio, la giunta Zingaretti ha replicato – con tanto di grafica –liquidandola puntuale richiesta di Fratelli d’Italia come «fake news».
Bene, da ieri sappiamo com’è andata a finire: sei persone arrestate dalla Gdf di Taranto accusate di associazione per delinquere finalizzata alle truffe per le forniture di mascherine e camici provenienti da Turchia e Cina, risultati non conformi ai requisiti di legge, nei confronti proprio della Protezione civile del Lazio. Non solo. Dentro l’operazione sono comprese anche i sei milioni di mascherine, quelle promesse nei primi giorni dell’attacco del Covid nel marzo dello scorso anno, che avrebbero dovuto essere consegnate alla Protezione civile del Lazio immediatamente e invece sono arrivate a Ferragosto.
Commenti da Zingaretti e compagni sulla truffa clamorosa? Silenzio assordante. «Spero che il nuovo segretario del Pd Letta non se la prenda se utilizzo la sua frase per rivolgermi al presidente ed ex segretario dimissionario Zingaretti: “Voglio confrontarmi con volti (magari in Consiglio) e non con mascherine”. Scusate, volevo dire maschere…», questa la risposta ironica della Colosimo che ha commentato così la notizia degli arresti giunti «dopo le mie innumerevoli interrogazioni e denunce». Obiettivo sul quale ha insistito Giorgia Meloni secondo la quale l’inchiesta della Procura di Taranto sullo scandalo mascherine e dpi nel Lazio «è la conferma che le denunce di Fratelli d’Italia non erano “fake news”». Il partito di via della Scrofa aveva presentato, infatti, «una dettagliata interrogazione in Parlamento per fare luce sul rapporto tra la Protezione Civile della Regione Lazio e la International Biolife», proprio l’azienda al centro dell’inchiesta «accusata di legami con la criminalità organizzata e implicata anche nella fornitura Ecotech». I cittadini – ha attaccato ancora Meloni – hanno diritto avere risposte: «Perché la Regione Lazio guidata da Nicola Zingaretti ha dato oltre 25 milioni di euro di soldi pubblici ad una società di profumi senza prima verificarne affidabilità e solidità finanziaria?».
Silenzio, appunto. Perché non si può certo accusare l’azione delle Procure di promuovere una “bufala”. Eppure una presa d’atto pubblica sul fatto che l’opposizione di centrodestra aveva puntato il dito su un affare torbido resta doverosa. O per lo meno rimuovere l’accusa di aver prodotto “disinformazione” quando – al contrario – proprio l’azione di vigilanza di FdI ha contribuito ad alzare il velo su una grave vicenda dove, se le tesi dell’accusa dovessero essere confermate, si sarebbe speculato sulla pelle dei cittadini. Ma, si sa, la doppia morale veterocomunista si manifesta pure sulle “fake”. Lo ha dimostrato il centro studi di FdI con il contro-fact checking nei confronti dei dati di Report che accusavano la destra di sfruttare profili falsi per promuovere le fantomatiche «campagne d’odio». Ammesso e non concesso che sia così, a finire davanti a un giudice rischierebbero allora molto di più compagni ed ex compagni animatori della stagione giallo-fucsia: vincitori, contro-dati alla mano, per numero di seguaci “fantasma” sui social. Anche qui, insomma, la consegna è sempre la stessa: silenzio per sé. Accuse “fake” per gli altri.